giovedì 29 aprile 2021

Sviare le argomentazioni usando le fallacie logiche: due esempi di una pessima pratica

 Chi in questi giorni ha letto un po' i quotidiani online, avrà trovato un po' su tutte le homepage il video dello scontro tra il governatore dell'Emilia Romagna Bonaccini e il professor Galli.


Tema di discussione è la decisione sulle riaperture: Bonaccini condivide le recenti decisioni sulle riaperture del governo Draghi, Galli no. O meglio, Galli sostiene, da tecnico, che quelle decisioni sono premature e quindi pericolose. Nello sviluppo del dibattito Bonaccini tenta di confutare mettendo in bocca a Galli qualcosa che non ha espresso, almeno non chiaramente ("lei pensa che il governo Draghi sia un governo di irresponsabili?"): si tratta, come sappiamo, dell'artificio retorico fallace dello straw man argument, mettere in bocca ad altri qualcosa che non hanno detto per sviare dal vero tema in discussione. Come osserviamo nel video, Galli non replica (decide cioè, di non dare legittimità all'obiezione, controbattendo, non accettando la validità della premessa stessa dell'obiezione) e ulteriormente argomenta la sua tesi: le riaperture non hanno a che fare con una valutazione di tipo scientifico (quelli che lavorano nei CTS regionali potrebbero confermarlo, dice Galli), ma sono frutto di calcolo politico.
A questo punto Bonaccini adopera un altro stratagemma retorico fallace, l'attacco ad hominem: Bonaccini chiede a Galli perché si innervosisca così tanto; il senso di questa obiezione è il tentativo di portare la discussione, di nuovo, non sul tema del dibattito, ma sul comportamento di uno dei dibattenti, sosttintendendo che Galli si innervosisce perché non è sicuro delle proprie posizioni, o ha qualcosa da nascondere. Questa volta Galli decide di replicare, e lo fa esplicitando al pubblico, lo dice apertamente, che Bonaccini sta cercando di adoperare mezzucci, strumenti retorici per sviare la discussione, arrivanddo a dire che Bonaccini si dovrebbe vergognare per i suoi tentativi di non discutere nel merito. 
Galli argomenta ulteriormente: il decisore politico sa che le riaperture sono premature, ma ha deciso che sono tollerabili delle migliaia di morti in più per riaprire le attività e le scuole, e questa è una decisione che non ha a che fare con la scienza, con un rischio calcolato, ma è una decisione politica.
Nuovamente a questo punto Bonaccini usa una fallacia logica nel suo argomentare: attacca Galli sostenendo che quindi per il professore gli Italiani sarebbero degli ipocriti. Anche in questo caso osserviamo uno straw man argument, un argomento fantoccio, che tra l'altro procede con una generalizzazione indebita. È proprio sulla generalizzazione indebita che si concentra la confutazione del prof. Galli, che evidenzia come, volutamente, Bonaccini faccia confusione tra il decisore politico, colui che prende la decisione, e la popolazione, gli Italiani, che la decisione la subiscono.

Tirando quindi le somme, dando una valutazione tecnica del dibattito, non solo le argomentazioni del prof. Galli non sono state confutate, ma lo stesso Galli ha avuto la forza argomentativa di smontare ed evidenziare le argomentazioni retoriche fallaci dell'avversario, trionfando nella discussione. Con questo non voglio dire che Galli abbia ragione nel merito, ma che è stato tecnicamente superiore nel dibattito.




E ora veniamo all'esempio personale. 
Tra i commenti a questo dibattito mi è capitato di leggere l'intervento dell'assistente parlamentare Benedetta Frucci, la quale scrive questo tweet:
"Bonaccini, uomo del fare, vicino alla gente che lavora, ha semplici posizioni di buon senso. 
Per qualcuno invece stare vicini ai lavoratori, chiedere di abolire il coprifuoco, riaprire è “di destra”.
Quindi capiamoci: favorire la disoccupazione è di sinistra?"
Al tweet ho personalmente risposto così:
"Pessima semplificazione: è di destra soffiare sulla prevalenza dei diritti del singolo nel momento in cui c'è un interesse comunitario che richiede, purtroppo, rinunce dei singoli (che vanno certamente sostenuti nella difficoltà) per superare una pandemia.".
Come avrà risposto Frucci? Con uno straw man argument:
"Voi odiate chi lavora e ancor di più chi guadagna. Vi provoca fastidio la libertà."
All'argomento fantoccio ho deciso prima di rispondere esplicitando la fallacia logica adoperata:
"Io non odio proprio nessuno, non mi metta in bocca parole che non ho mai detto. Altrimenti potrei dire che lei odia chi muore perché contraddice la sua libertà."
Successivamente ho evidenziato un'altra parte debole dell'argomentazione, la generalizzazione:
"Ma poi, voi chi? Io ancora aspetto risposta: dove ho detto di odiare chi e come si permette di mettermi parole in bocca che non ho mai detto.".




Come è chiaro, l'utilizzo delle fallacie logiche è uno strumento diffuso nel discorso pubblico, passa spesso inosservato, e tuttavia un interlocutore attento, come Galli, può riconoscerle e smontarle, dimostrando così l'inconsistenza delle posizioni altrui

mercoledì 28 aprile 2021

I college americani e la controversia sui classici, e gli Italiani che la falsificano

https://eidolon.pub/what-would-james-baldwin-do-a778947c04d5

In questi giorni rimbalza sui media italiani la notizia che la Howard University si accinge alla chiusura del dipartimento di studi classici. La notizia, di per sé, sarebbe una di quelle cose a cui normalmente nel nostro paese nessuno darebbe importanza; ma dato che si tratta del college frequentato da Kamala Harris, la polemica sulla Cancel culture si nasconde dietro l'angolo. E infatti proditoriamente la questione viene cavalcata dal Corriere , da Huffington Post, Il Mattino, immancabile Il Giornale, e persino dall'agenzia ANSA. Tutti gli organi di stampa si rifanno ad un articolo pubblicato dal Washington Post firmato da Cornel West. Nel suo articolo West in realtà adombra quella che è la vera questione: il dipartimento viene chiuso perché non ha un numero adeguato di iscritti ai propri corsi, come confermato dalla stessa università; si tratterebbe quindi di una questione economica. Del resto proprio West dice nel suo articolo che l'aver trasformato la scuola in una pratica di trasmissione di conoscenze con fini utilitaristici, l'approccio economicistico all'istruzione, avrebbe messo in secondo piano l'aspetto educativo dell'istruzione, aspetto educativo che troverebbe la sua massima espressione nell'insegnamento dialogico del "canone occidentale", a partire proprio dalla cultura classica.

Peccato che in Italia, nel riportare la notizia, si parli di altro. Intanto si cerca di beccare click con il nome di Kamala Harris; soprattutto, facendo riferimento al fatto che la Howard University ha negli afroamericani la maggioranza dei propri iscritti, si sottintende che l'operazione sia l'ennesimo frutto malato della Cancel culture che impervereserebbe in America (non senza sottintesi strali verso la "dittatura del politcamente corretto"). Basterebbe aver chiarito cosa dice la fonte originale per capire il lavoro meschino fatto dai giornalsti nostrani.

Ma la cosa va ben oltre: molti quotidiani tirano fuori le posizioni espresse da un noto classicista, Dan-El Padilla Peralta, docente a Princeton, che ha recentemente condannato senza mezzi termini la tradizione della classicità (ovvero come la classicità è stata tramandata e l'uso che è stato fatto della classicità nel recente passato) perché alla base dell'invenzione della superiorità della razza bianca sulle altre. È chiaro che però le posizioni di Padilla Peralta in questo caso non c'entrano proprio nulla, sono decontestualizzate. 

Sta di fatto che negli USA sono al momento vivi e vitali i dibattiti su due questioni distinte ma che si intersecano: gli studi sulla genesi e la concettualizzazione dell'idea di razza bianca, e in maniera corrsipondente quelli sulla concettualizzazione delle altre identità etniche; gli studi sull'apporto della cultura classica e (soprattutto) della sua tradizione alla formazione delle ideologie di destra e di estrema destra.

Riguardo alla genesi e alla concettualizzazione dell'idea di razza bianca, osserviamo ormai come questo costrutto sociale abbia una storia molto più breve di quanto immaginiamo e come questo concetto si sia evoluto nel corso del tempo, soprattutto negli USA, andando a comprendere nella "razza bianca" anche etnie in un primo tempo escluse, come per esempio quella italiana. Tuttavia, si può in qualche modo affermare che 

the invention of a white racial identity was motivated from the start by a need to justify the enslavement of Africans. In the words of Eric Williams, a historian who later became the first prime minister of Trinidad and Tobago, “slavery was not born of racism: rather, racism was the consequence of slavery"

La concettualizzazione della razza bianca quindi viaggia in parallelo alla pratica dello schiavismo: ne costituisce l'apparato ideologico, assieme all'evangelizzazione cristiana. Tanto che

The economic utility of the idea of whiteness helped spread it rapidly around the world [...] The idea of whiteness, in other words, was identical to the idea of white supremacy. For the three centuries that preceded the civil rights movement, this presumption was accepted at the most refined levels of culture, by people who, in other contexts, were among the most vocal advocates of human liberty and equality. It is well known that Immanuel Kant argued we should treat every other person “always at the same time as an end and never simply as a means”. Less well known is his proposal, in his Lectures on Physical Geography, published in 1802, that “humanity is at its greatest perfection in the race of the whites”, or his claim, in his notes for his Lectures on Anthropology, that native “Americans and Negroes cannot govern themselves. Thus, serve only as slaves”

Solo nei tardi anni '90 del Ventesimo secolo il suprematismo bianco viene a tutti gli effetti annoverato tra le forme del razzismo, non senza aver assistito al paradosso, ai tempi di Reegan, di un presidente degli USA che, di fronte alla richiesta di norme che contrastino il suprematismo bianco nelle istituzioni e nella legislazione, accusava gli attivisti di razzismo e di giudicare le persone in base al colore della pelle (bianca).

Altra questione è quella degli studi sulla classicità e il razzismo. Dalla pubblicazione di Black Athena in poi si inizia a porre negli studi classici la questione dell'omissione delle influenze e dell'importanza dell'apporto degli immigrati e degli schiavi nella formazione della cultura classica greco-romana. Opinione comune, riassunta da Ashley Montagu in La razza, analisi di un mito, è che la classicità, in primis quella greca, sia stata immune dell'idea di un razzismo biologico, semmai abbia conosciuto l'etnocentrismo. Montagu stessa però è costretta ad ammettere un'eccezione, quella della teoria della schiavitù di Aristotele. Secondo la gran parte degli antichisti, dato che per molti fra gli antichi il carattere degli uomini viene forgiato dall'ambiente, questa idea avrebbe fornito una sorta di antidoto alla formazione di una qualsiasi forma di razzismo, ristretto all'aspetto biologico o allargato ad una visione più esistenzialista: sostanzialmente, per questa visione, se prendi un uomo nato magari in Egitto e lo trapianti in Grecia non è da escludere che, cambiate le condizioni climatiche e il contesto geografico, quell'uomo possa acquisire tutte le caratteristiche che lo potranno alla pienezza dell'essere uomo, l'essere greco. Tuttavia, come osservato, permane l'eccezione, portatrice di conseguenze, della teoria aristotelica. Secondo Bonabello in I Greci a Valladolid. Sul problema della genesi del razzismo nella cultura occidentale 

Per Aristotele l’inferiorità biologica dello schiavo consiste più precisamente in una imperfezione del logos , che risulterebbe del tutto privo della “parte deliberativa” [...]. Se ci spostiamo dalla Politica all’Etica Nicomachea, possiamo valutare quale grave menomazione rappresenti, nell’ottica aristotelica, la mancanza del bouleutikon .

e ancora 

Se però si tiene presente la già menzionata specularità nel mondo antico tra la figura del Barbaro e quella dello schiavo, la teoria dell’inferiorità naturale dello schiavo non può che implicare a sua volta l’idea di un’inferiorità parimenti biologica e innata del Barbaro rispetto al Greco: «Perciò» – dichiara infatti Aristotele – «dicono i poeti “che sui Barbari i Greci imperino è naturale”, come se per natura fosse la stessa cosal’essere Barbaro e l’essere schiavo»

Del resto Juan Ginés de Sepúlveda nella causa tra Spagnoli e Indiani d'America del 1542 sostenne le tesi del primato spagnolo sugli indigeni americani proprio partendo dal suo commento alla teoria aristotelica della schiavitù. Ancora, è soprattutto nella commedia e nella tragedia greca che osserviamo come la figura del barbaro coincida con la figura dello schiavo perché naturalmente inferiore. In un certo senso, possiamo quindi affermare che nella classicità si affrontano due maniere diverse per interpretare "l'altro": l'una che attribuisce le caratteristiche degli uomini al clima e alle differenze geografiche (soprattutto Ippocrate), l'altra che attribuisce le differenze a caratteristiche che definiremmo esistenziali, innate, ed ereditarie, tali da porre l'uomo greco in una condizione di superiorità sugli altri (Aristotele). 

Nel contesto di questo dibattito, negli USA l'azione di una rivista come Eidolon, nata e defunta nei dipartimenti di studi classici e redatta da provetti classicisti, ha portato a sviluppare e ad analizzare il tema dei classici e del razzismo, soprattutto, come si diceva, della tradizione e della ricezione dei classici, ad esempio osservando come della tradizione classica si approprino oggi gruppi di destra e di estrema destra armati in formazioni paramilitari: è qui quindi che si intersecano i due filoni di studi, quello sulla costruzione dell'idea di razza bianca e quello del razzismo nei classici.

Proprio a partire dalla redazione di Eidolon e degli studiosi citati è nata la spinta nelle università americane verso una rilettura dei classici, rilettura che abbia come scopo non la loro cancellazione, ma la loro contestualizzazione e una loro analisi che non tema di evidenziarne i tratti francamente razzisti, o smascherare i tentativi di appropriazione indebita da parte dei suprematisti bianchi. In un caso come nell'altro, si tratta di un tentativo di guardare con occhi diversi quanto è stato tramandato, non temendo di metterlo in discussione, o di discuterne contenuti troppo facilmente celebrati nel corso dei secoli. Questa potrà apparire agli occhi dei più tradizionalisti una forma di Cancel culture (e gli articoli dei quotidiani sopracitati non faranno altro che alimentare questa idea), ma, come si evince da quanto scritto in questo post, lo scopo è tutt'altro: se la cifra della classicità è il continuo dialogo critico con il passato come altro da noi, come sostiene West sul Washington Post, allora se vogliamo che la classicità sopravviva occorre che questo dialogo sia franco, non reverenziale. Pena la scomparsa definitiva, perché ormai insignificante, della vera sostanza della classicità. Se, riprendendo l'oracolo di Delfi, vogliamo conoscere noi stessi, dobbiamo avere il coraggio di porre domande e di smettere di ammirare incondizionatamente il nostro passato e la nostra tradizione.

 

 


martedì 27 aprile 2021

La socialità e il tempo libero non hanno nulla a che fare con la scuola, o delle pessime idee che nascono da buone intenzioni

https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0000012392/10/gruppo-giovani-donne-fasciste-balilla-spalla.html

Leggo che la scuola d'estate servirà per recuperare spazi di socialità. Ecco, spero tanto che non sia un obbligo: rivendico il sacrosanto diritto di uno studente di odiare i propri compagni di classe, e non voler trascorrere con loro anche il tempo libero: ma voi avete presente il tormento per un ragazzo che, magari, passa l'intero anno scolastico con i compagni che lo bullizzano o con cui anche e solamente non condivide nulla e attende solo l'estate per non doverli vedere, e ora gli si dice che dovrà recuperare la socialità persa trascorrendo i mesi estivi o parte di essi a scuola? Perché gli amici si scelgono, i compagni di classe no; perché il tempo libero è, già dal nome, tempo dedicato alle libertà, non agli obblighi, persino alla libertà di annoiarsi. E poi, lo spazio della socialità deve essere personale, privato: devo essere libero di decidere a chi dedicare il mio tempo libero, il mio tempo più prezioso, e non può né deve essere la comunità a deciderlo per me, men che meno uno Stato; ma nel momento in cui è lo Stato a definire la mia socialità, chi mi garantisce che non capiti quello che un secolo fa è già avvenuto, quando le nazioni hanno avuto l'ambizione di definire spazi pubblici e privati dei propri cittadini? Insomma, anche se si parte con le migliori intenzioni, attenzione a non mescolare ciò che è privato e individuale con ciò che non lo è se non è strettamente necessario, perché a passare da una finta dittatura sanitaria ad una vera dittatura ci si sta il tempo di uno spazio di socialità non richiesta. Pessime idee condite di buone intenzioni.


EDIT


Mentre scrivevo il post la proposta del governo è stata chiarita: viene specificato che i coorsi, sia che riguardino nello specifico le lacune sugli apprendimenti (giugno), sia che vertano sul recupero della socialità (luglio e agosto) si svolgeranno su base volontaria. Speriamo che così sia davvero, che non prevalga un ragionamento che metta al centro l'economia e che porti all'obbligatorietà di questi spazi di socialità per tenere bambini e adolescenti impegnati mentre i genitori andranno a lavoro. Lo so, certo, che le famiglie abbisognano di ammortizzatori sociali e sistemi di welfare che li assistano nella ripresa delle attività, ma, come detto in precedenza, attenzione a snaturare il ruolo della scuola e a confondere la pubblicità di un servizio, l'istruzione, con il privato, il tempo libero. È una confusione chhe abbiamo già visto in passato e che non ha mai portato al bene dei singoli e della collettività.

sabato 24 aprile 2021

Dovevamo uscirne migliori, ne verremo fuori reazionari

Foto: http://www.felicitapubblica.it/2020/09/14/ne-usciremo-migliori-dicevano/

Premssa, d'obbligo: questo post si fonda su percezioni, non su dati. Non ho dati sull'argomento; ho letto, sì,  qualche intervento di psicanalisti e psicologi, ma non ho nulla che confermi in maniera scientfica quanto affermerò nei prossimi paragrafi. Wittgenstein sosteneva fosse meglio non dire ciò di cui non si poteva parlare, ed è sicuramente vero; tuttavia mi permetto di esprimere qui un dubbio, che magari potrebbe alimentare future ricerche di persone ben più titolate di me.

Nelle discussioni in classe, una cosa che mi pare emergere fra gli adolescenti e non solo, è il malessere. Non il malessere di cui tanto si sta parlando, la crisi degli adolescenti dovuta alla distanza e alla mancanza di relazioni sociali (malessere che non ho intenzione qui di sminuire, affatto). Mi  riferisco qui ad altro. Il malessere che sto osservando  è una sorta di fastidio strisciante.

Fastidio verso cosa? Verso le persone che vanno tutelate, che vengono avvertite come un peso. Sembra che, dopo un anno di pandemia, l'idea che ci siano persone fragili da difendere (qualsiasi sia il contesto in cui questo precetto andrebbe applicato) crei problemi anziché consenso sul principio.

Mi è capitato di osservare questo fenomeno nelle discussioni in classe, in diverse classi, riguardo a diversi argomenti: si parta dalla discussione generale sulla pandemia, sulla necessità di limitare, tutti, le nostre libertà personali per preservare il diritto alla salute dei più fragili che sarebbero le principali vittime di un dilagare della pandemia; si continui con il fastidio di molti ragazzi nei confronti della polemica sul "cat calling" e, si badi, fastidio presente, anche se in misura minoritaria, anche fra le ragazze; si prosegua con il fastidio generalizzato in merito all'approvazione del DDL Zan, la legge contro l'omofobia, o le vere e proprie reazioni isteriche a cui si può assistere se, oggi, si parla di tutela dei migranti. Si finisca osservando le reazioni alla questione della consensualità o meno di una ragazza vittima di stupro. 

Il minimo comun denominatore è sempre lo stesso: l'idea che il proteggere il più fragile sia per gli altri un fastidio nella  misura in cui li priva di qualcosa (anche poco), li costringa a modificare comportamenti (in un periodo storico che già ci ha costretto a midificarne parecchi). Guardate come è sparito dalla discussione fra i ragazzi il tema dell'ambientalismo.

Sembra che molti ragazzi condividano sempre meno il principio per cui la  grandezza di una civiltà non si misura (solo) nella sua forza economica o militare, ma nella capacità di garantire i diritti anche a coloro che non hanno la forza di affermarli.

Attenzione: ho la sensazione che la pandemia stia allevando una generazione che svolterà verso politiche reazionarie: è in fondo comprensibile, non è affatto detto che sia la cosa migliore che ci possa capitare

sabato 17 aprile 2021

Dibattere di letteratura in classe: Beatrice, Francesca da Rimini, Laura

Praticando il Debate in aula ormai da anni e, dopo aver organizzato e seguito un corso di formazione sull'argomento, tenuto dagli ottimi Matteo Giangrande e Pietro Alotto, quest'anno ho decisso di provare e provarmi nel Debate disciplinare, ovvero i miei alunni si sono trovati ad approfondire e a dibattere su un argomento strettamente correlato allo studio di una delle discipline che vengono abitualmente svolte in classe, lo studio della storia della letteratura italiana.

Insegno in un istituto professionale, scuole che, per volontà ministeriale, stanno gradualmente convertendo la propria didattica verso un apprendimento sempre più rivolto all'acquisizione di competenze (cosa che, per inciso, dovrebbe essere l'obiettivo di ogni tipo di scuola): questo cambiamento implica, anche dal punto di vista formale, il dover ottemperare a certi obblighi. Il Debate, da questo punto di, risponde alla richiestaa di produrre prove autentiche che dimostrino tale acquisizione. Tuttavia, al di là di aspetti meramente formalistici, mi interessava osservare la reale portata della pratica, ovvero quanto sarebbe stato possibile coinvolgere gli studenti nello studio e nell'approfondimento di un argomento non direttamente correlato alla loro vita quotidiana, e portarli a dibattere su tesi e antitesi inerentti quell'argomento.

Nel consiglio di classe della terza in cui insegno lettere già ad inizio anno si è deciso di approfondire lo sviluppo della figura e del ruolo della donna nel tempo, trasversalmente a tutte le discipline. Così, in letteratura, insieme alla classe abbiamo cercato di concentrarci su questo tema. Per chi non se lo ricordasse, lo studio della letteratura italiana in terza si concentra particolarmente sulla produzione letteraria delle origini, Dante Alighieri, Fracesco Petrarca, etc.

Nel corso dei mesi la mia classe, in presenza o a distanza, ha affrontato lo studio delle opere di questi autori; trasversalmente abbiamo iniziato ad approfondire le strutture di  un testo argomentativo, abbiamo defiinto e approfondito i bias cognitivi, le fallacie logiche, fatto esercitazioni su tesi semplici da argomentare, per acquisire un metodo.

Finalmente, in aprile, la classe è stata suddivisa in tre gruppi, ed è stato approntato il Debate. Abbiamo deciso di svolgere uno "scontro" a tre squadre (grazie al suggerimento di Matteo Giangrande), visto il numero ristretto di alunni nella classe: ogni squadra avrebbe dovuto dimostrare che il personaggio ad essa assegnato (Beatrice, Francesca da Rimini o Laura) è più vicino alla concezione "moderna" della donna. È chiaro che il concetto di moderno è contestabile e che implica interpretazioni molto diverse, probabilmente sarebbe risultata più utile una definizione come "meno anacronistica di", ma per evitare di appesantire le scelte lessicali alla base dell'esercizio, e considerato che nei professionali non si studia filosofia, abbiamo deciso di lavorare con questa semplificazione di comodo.

I gruppi hanno svolto degli esercizi preparatori: come primo esercizio hanno dovuto compilare una tabella in cui avrebbero evidenziato le differenze fisiche, caratteriali e comportamentali tra Beatrice, Laura, Francesca. Questi dati andavano ricavati dai testi studiati nel corso dell'anno e da degli approfondimenti selezionati ad uopo.

Il secondo esercizio, denominato Balloon debate, consisteva nel rispondere in fasi diverse alle seguenti tre domande pensando alle caratteristiche e al ruolo che viene attribuito oggi alla donna: 1) perché il personaggio che è stato assegnato al mio gruppo è "moderno"; 2)  perché il personaggio che è stato assegnato al mio gruppo è "più moderno" degli altri; 3) perché i personaggi assegnati agli altri gruppi sono "meno moderni" del mio. Questo esercizio, che costringe in aula ad un ascolto attivo, ha permesso ai diversi gruppi di lavoro di iniziare a formulare le argomentazioni che sarebbero poi state approfondite in vista del dibattito.

In ultimo, in base ai dati raccolti fino a quel momento, i tre gruppi sono stati invitati a realizzare una mappa argomentativa o uno schema che riassumesse la loro linea argomentativa, selezionando e approfondendo le tre argomentazioni ritenute da loro più forti emerse nei precedenti esercizi. 

Fatto questo, ogni gruppo ha stabilito i ruoli; abbiamo previsto quattro interventi a gruppo, quindi i ruoli da spartire erano: 

  1. primo debater: introduce la tesi, fornisce una prima sintesi delle argomentazioni della squadra; approfondisce la prima argomentazione; 
  2. secondo debater: confuta una o più argomentazioni fornite dalle altre squadre; approfondisce la seconda argomentazione; 
  3. terzo debater: confuta una o più delle argomentazioni fornite dalle altre squadre; approfondisce la terza argomentazione;
  4. quarto debater (uno dei debater precedenti riprende la parola): tiene la perorazione finale che non introduce nuove argomentazioni. Non introduce nuove confutazioni. Riprende le argomentazioni più forti della propria squadra, mettendo in luce quanto le altre squadre non sono riuscite a dimostrare o a confutare.
Il Debate si è svolto in DAD: gli alunni hanno preso ordinatamente la parola, sviluppando le proprie tesi e argomentazioni. La competizione è stata accesa, soprattutto, la qualità delle argomentazioni è andata ben oltre le aspettative. Come è ovvio per alunni al primo serio tentativo di Debate, le argomentazioni sono state spesso assertive, gli esempi a dimostrazione sono rimasti spesso impliciti ("erano quelli che tutti sapevamo aver letto nei testi") ma, già solo nell'aver fatto implicito riferimento ai testi, gli studenti hanno dimostrato di aver acquisito delle conoscenze.
Certamente i ragazzi hanno sviluppato un tema superato dalla critica letteraria, contestabile anche nei presupposti iniziali, ma l'obiettivo dell'esercitazione non era quella di creare dei critici. L'obiettivo era, evidentemente, costringere i ragazzi a fare propri dei saperi e delle strategie, e a metterli in gioco per utilizzarli in un contesto non noto, esponendo, cooperando, argomentando.
Il risultato del Debate è stato successivamente mappato per rendere più facilmente leggibile l'esito dello scontro (che ha, per la cronaca, visto prevalere, d'un soffio, la squadra pro Laura).
Nella mappa, anch'essa non certo perfetta ma facilmente leggibile da alunni ancora agli inizi con questo tipo di attività, sono evidenziate le argomentazioni che hanno resistito alla confutazione degli altri gruppi.



A conclusione dell'attività gli alunni hanno espresso la propria soddisfazione, evidenziando che, a loro parere, se un estraneo agli argomenti avesse assistito alla discussione, ne sarebbe uscito avendo un'idea abbastanza chiara sulle tre figure analizzate. Infine, almeno alcuni alunni hanno dichiarato di preferire il Debate come forma di valutazione delle conoscenze e delle competenze rispetto ad una classica interrogazione.

lunedì 12 aprile 2021

La speculazione edilizia, Italo Calvino


La speculazione edilizia di Italo Calvino, pubblicato in prima edizione nel 1957 su rivista, ed in edizione definitiva nel 1963, doveva appartenere ad una trilogia, assieme Alla giornata di uno scrutatore, che descrivesse l'Italia degli anni cinquanta del Novecento.

Il protagonista, con forti tratti autobiografici, Quinto, è un intellettuale di provincia, sbarcato a Roma ma senza grandi risultati, che, tornato a casa, in un anonimo paesino della riviera ligure, si trova a mettersi in affari con un imprenditore edile, Caisotti, vendendogli parte del terreno della villa di famiglia, per edificare insieme a lui un palazzo per l'affitto o la vendita di appartamenti per villeggiatura. Quinto è un uomo poco pratico, sente in qualche modo di aver fallito la sua carriera intellettuale, sebbene in paese mantenga la stima degli iscritti al partito comunista a cui appartiene anche lui. Al suo opposto il fratello Ampelio, giovane chimico, perfettamente capace di controllare le emozioni e di calcolare costi e benefici dagli eventi. Ampelio è talmente un uomo pratico da ricavare il tempo per una tresca amorosa con la segretaria di Caisotti, Lina, di cui in paese si parla, ipotizzandola indistintamente come la figlia o l'amante dell'imprenditore. Quinto invece è un uomo attratto dalle donne vagamente brutte, da cui risulterà poi più semplice prendere le distanze, e finisce per forzare ad un rapporto sessuale una donna tedesca che aveva preso in affitto parte del palazzo in costruzione come magazzino per la sua impresa di esportazioni floreali.
Il romanzo è il ritratto impietoso di una Italia che, avvolta nella crescita economica, nel miraggio della villeggiatura, sta perdendo rapidamente di vista valori come quelli della solidarietà e dell'onestà che l'avevano forse tenuta assieme appena finita la Seconda guerra mondiale. Caisotti è il personaggio che più rappresenta questa fase: uomo sceso in riviera dalle montagne, è stato partigiano come Quinto, l'ha persino conosciuto sul fronte, eppure la civile borghesia rivierasca non potrà non trattarlo come una bestia arrivista, mescolando disprezzo e invidia per quest'uomo, e lui non potrà non tentare sempre di barcamenarsi o di truffare i due fratelli. Quinto stesso, pur comunista, di fronte alla vendita del terreno si comporta da perfetto borghese proprietario terriero, ne vuole trarre tutto il guadagno possibile, né si cura delle condizioni dei manovali e dei muratori che armeggiano sul cantiere. Il suo comunismo si rivela così annacquato, disperso in dispute teoriche che nulla hanno a che fare poi con la vita reale. Tanto che, alla fine, si dovrà scornare contro gli antichi compagni della sede locale del partito, tutti operai molto meno colti di lui, che di fronte all'evidente truffa in cui è in corso non possono non chiedergli perché prima non avesse chiesto consiglio a loro, che di cose pratiche ne capivano.

Come La giornata di uno scrutatore, anche in questo romanzo assistiamo al disagio di un intellettuale che, finita la guerra, aveva immaginato un'Italia che mai si realizzerà davvero, e di fronte a questa evidenza, non si porrà come titanico antagonista, né si disporrà come eccentrico inetto, ma finirà per lasciarsi trasportare a poco a poco dalla corrente, richiudendosi nel suo intimo e finendo per divenire sempre più simile alla società borghese che aveva sognato di contrastare.

lunedì 5 aprile 2021

Nietzsche, il postmodernismo e i giorni nostri

Friedrich Nietzsche


Se penso all'ascesa del populismo e del leaderismo che ha caratterizzato l'ultimo decennio almeno; se penso all'emergere di estremismi come quelli novax o Qannon; se penso all'intera legislatura di Trump; se penso alla gestione della pandemia da parte dei partiti di destra e di estrema destra in giro per il mondo; se penso a tutte le polemiche sulla gestione dell'emergenza da parte delle varie regioni italiane, dell'Italia e dell'Unione Euriopea; se penso a come chiunque sia stato sempre e comunque in grado di sostenere tutto e il contrario di tutto, complici i media e una memoria divenuta ormai di brevissimo corso; se si pensa a tutto questo l''unica cosa che si può dire è che, ancora una volta, aveva ragione Nietzsche, che non esiste la realtà, esistono solo le sue interpretazioni (e per ora probabilmente stanno prevalendo le peggiori). E mi viene da dire che siamo ancora in pieno postmodernismo, postulato (non solo) di quell'aforisma, altroché.



Russell, le premesse false, e qualche implicazione pratica

Bertrand Russell

 

"Assumiamo che 2 + 2 sia 5. Sottraendo 2 da entrambe le parti, otteniamo che 2 è uguale a 3. Scambiando i due membri dell’uguaglianza, otteniamo che 3 coincide con 2. Sottraendo ancora 1, deduciamo che 2 è uguale a 1. Ora io e il papa siamo 2. Ma se 2 è uguale a 1, allora siamo 1: quindi io sono il papa"

Cosa ci dice il logico Bertrand Russell attraverso questo esempio? Tante cose, direi, ma una fondamentale. Che se conduciamo un ragionamento partendo da una premessa falsa, poi possiamo giungere a qualsiasi tipo di conclusione seguendo un ragionamento del tutto logico, ma fallace in partenza. Nell'esempio citato, assumendo che 2 + 2 faccia 5 (anziché 4); allorché sottrarremo 2 al primo o al secondo addendo, dato che sappiamo già che il risultato finale dell'addizione è per assunto 5, otterremo che 2 = 3

2+2= 5

perciò se

(x-2)+2=5

o

2+(x-2)=5 

allora

x=3 

Ovviamente noi sappiamo che 2 non è uguale a 3

2≠3 

Ma se assumiamo che l'evidenza matematica non conta (più in generale, se assumiamo che possiamo distorcere qualsiasi evidenza), allora possiamo giungere alle conclusioni logiche che preferiamo. E così Russell può concludere che se assumiamo che 2 è uguale a 1, è vero che lui, ateo, e il papa sono due figure diverse, ma può essere altrettanto vero che lui e il papa siano un'unica persona, e che quindi lui, ateo, sia il papa.

Si capisce quindi come sia importante validare la premessa per poter almeno provare a giungere a conclusioni logicamente fondate, altrimenti, partendo da premesse infondate, potremo arrivare a sostenere qualsiasi stupidaggine. 

Vanverismo Pedagogico


Tipo, che so, potremo partire dicendo che il contagio nelle aule scolastiche italiane è sotto controllo e che gli studenti italiani si contagiano poco, dopodiché potremo portare a dimostrazione grafici e dati  che dimostrino che, sì, gli studenti hanno dei tassi di contagio un po' più bassi della media nazionale, ma potremo omettere di dire che normalmente quei tassi di contagio dovrebbero essere molto più bassi della media nazionale, dato quello che sappiamo sulla trasmissione del primo ceppo conosciuto del Covid-19, e che quindi in realtà la frequenza dei contagi è relativamente alta:

frequenza di contagio alta = frequenza di contagio bassa

Cosa ne consegue? Che a questo punto, fallata la premessa, posso arrivare a dimostrare tutto: che le scuole sono sicure, per esempio, perché se la frequenza di contagio è alta e contemporaneamente bassa posso dirne quello che voglio. Posso persino arrivare a dire che se il tasso di contagio degli insegnanti è alto è perché si contagiano di Covid-19 nelle sale insegnanti. Capite il giochetto?

 

venerdì 2 aprile 2021

Dante, Beatrice e Francesca




Sandro Orlando in questo saggio mette in luce aspetti notevoli inerenti le possibili interpretazioni della figura di Francesca da Rimini. Il critico evidenzia subito il contesto in cui compare il personaggio: già dall'inizio dell'opera Dante autore ha chiarito che il motore degli eventi che coinvolgono Dante personaggio è l'amore, inteso però come amore celeste, spirituale, contrapposto a quello terreno. Giunto al secondo cerchio dei dannati, dopo le aspre parole di Minosse, il protagnista dell'opera incontra la schiera dei dannati che, travolti dal vento eterno che li affligge, contrappasso per il loro essersi lasciati travolgere in vita dalla lussuria, vengono sbattuti di qua e di là contro le pareti della "ruina" che li circonda. Fra questi, in particolare lo attraggono le figure di due personaggi, contemporanei a Dante, sostanzialmente ignoti o quasi al grande pubblico, vittime di una vicenda di cronaca efferata.

I due amanti vengono introdotti dall'immagine di due colombe, che nei loro baci incarnano l'eccitazione sessuale: questa immagine anticipa quindi il bacio che non farà più andare avanti nella lettura i due, non per pudicizia, ma perché vinti dal piacere l'uno dell'altra. Di fronte ai due, Dante si sente smarrito: qui Orlando osserva che l'aggettivo in tutta la Commeddia occorre quando Dante personaggio è afflitto da profondo turbamento ripensando al proprio passato. 

Perché Paolo e Francesca volano assieme? Secondo Orlando questo dettaglio si spiega in una circostanza ben precisa: se normalmente in Dante la donna purifica e sana le mancanze dell'uomo, qui non avviene, e i due correi si trovano legati indissolubilmente nel loro peccato.

Immediatamente Dante costruisce la scena in modo da ricordare al lettore attento la Vita Nova, soprattutto tramite le scelte lessicali, e la pietà che Dante e Francesca provano è reciproca

Francesca racconta la propria infanzia, ma ben presto, attraverso versi celeberrimi, lancia un vero e proprio atto d'accusa all'amore 

«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense».

Nel lanciare la sua accusa però Francesca sintetizza diverse fasi della sua vita; il passato dell'amore che si sviluppa e trova compimento, e il futuro dai suoi esiti infausti. 

Riguardando all'intero campionario di peccatori che Dante incontra in questo canto si può dire che vengano rappresentati diversi tipi di amore peccaminoso, contrapposti a quello puro di Beatrice:

  1. Quello classico dell'antichità, puramente licenzioso;
  2. Quello medievale mitico, cortese;
  3. Quello di Francesca, imbevuto di Stilnovismo.
Orlando affronta l'annosa questione de "il modo ancor m'offende", offrendo le possibili interpretazioni: "modo" inteso come maniera peccaminosa dell'amore; "modo che offende" inteso come la cattiva fama che ne è derivata; "modo che offende" inteso come amore che ha condotto alla morte. Del resto i versi successivi sono stati interpretati in sesnso cronachistico già dal Boccaccio, che ricostruisce l'uccisione di Paolo e  Francesca da parte di Gianciotto Malatesta. Rimane il fatto che ai due amanti non solo viene tolta la vita, ma viene soprattutto tolto il tempo di pentirsi del loro peccato, condannandoli alla dannazione eterna. Queste anime quindi sono "offense" nel senso di "menomate del loro amore".
La reazione di Dante, come si diceva, è di smarrimento: è chiaro che Dante autore vuole far capire al lettore quanto Dante personaggio rischi di essere vicino ai due protagonisti; questa idea è ancor più raffrozata dal fatto che le rime "spense - pense - offense" ricorrono nel Purgatorio, canto XXXII, dopo la requisitoria di Beatrice sui peccati di Dante. Che si stia parlando del Dante stilnovista è chiaro anche dalla frequenza dell'aggettivo "dolce", legato da Dante stesso al concetto di Stil Novo. Così la confessione dell'amore di Francesca è anche anticipazione della confessione, nel Purgatorio, dell'amore di Dante per Beatrice.
Orlando mette poi in luce il dibattito della critica sulla predeterminazione del tradimento da parte dei suoi amanti: la soluzione proposta dal critico verte sullo scolorire del viso dei due peccatori; questo termine ricorre pochissime volte nella letteratura italiana prima di Dante, mentre ha poi notevole successo, ed indica una trasformazione che rende gli individui quasi irriconoscibili a se stessi, vittime di uno stravolgimento, che farebbe quindi pensare che i due amanti fossero, fino al momento fatidico, ignari l'uno dell'amore del'altra.
Orlando osserva come, ancora nella contrapposizione tra Francesca e Beatrice, il "disiato riso" di Francesca si contrapponga al santo riso di Beatrice (Purgatorio XXXII), e come Francesca, ancora in contrapposizione a Beatrice, sia l'artefice del peccato di Paolo, come Beatrice sarà l'artefice della salvezza di Dante. Ma Francesca, fino all'ultimo, cercherà di addossare la propria responsabilità sul mondo di esperienze, tutte letterarie, in cui vive, sul libro e sull'autore del libro che leggeva assieme all'amato Paolo. Di fronte alle lacrime di Paolo, Dante sviene, e questo suo primo svenimento innanzi agli amanti ha come corrispettivo l'ultimo svenimento, quello davanti a Beatrice nel Purgatorio. 
Con Orlando si può quindi concludere che il canto V dell'Inferno è in diretta correlazione con l'apparizione di Beatrice nel Purgatorio (XXX) e con la sua requistitoria a Dante (Purgatorio XXXI). L'antitesi Francesca - Beatrice è l'antitesi fra amore profano e amore sacro, ma la contrapposizione tra i due episodi rappresenta il superamento e il rifiuto dell'amore cortese e di quello stilnovistico in favore di un amore più nuovo e più alto, frutto della grazia divina per intercessione di Beatrice. 

Orlando, Sandro. “DA FRANCESCA A BEATRICE: UNA NUOVA LETTURA DI INFERNO V.” Medioevo Letterario D'Italia, vol. 3, 2006, pp. 37–59. JSTOR, www.jstor.org/stable/26484254. 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....