domenica 31 gennaio 2021

Per una nuova epistemologia della discussione


Quando discuto con un novax o un riduzionista del Covid (ma anche fosse un fascista o un nazicomunista) capita sempre la stessa cosa: dimostrata con argomentazioni e profusione di fonti l'inadeguatezza o la falsità della altrui posizione, difficilmente l'interlocutore ammette il proprio errore. E questo capita anche se sono io a sbagliare, sia chiaro.
Perché capita?
Un po' è l'effetto di un bias cognitivo, il bias di conferma: di fronte a tante argomentazioni e ai dati vediamo e vogliamo vedere solo le informazioni che confermano la nostra opinione preconcetta.
Un po' è poi l'effetto della sindrome di Dunning Kruger: se una persona è fin troppo incompetente su di un certo argomento semplicemente non può riconoscere quali informazioni sono vere e quali false fra quelle che gli sono proposte.
Infine, però, credo ci sia anche un'altra cosa: la paura dello stigma, l'infamia dell'ammissione pubblica del proprio errore. Una società che ci vede perennemente in competizione per qualcosa non può ammettere e tollerare l'ammissione dell'errore, la vedrebbe come un segno di debolezza. 
Il primo passo per un mondo migliore potrebbe essere l'insegnare nuovamente il valore della cortesia e, soprattutto, che non c'è vergogna nell'errore, che semmai il male sta nel non voler vedere i propri errori e i propri limiti (in primis quelli di chi scrive).

Ergo Proxy, Shukō Murase

Ergo Proxy è un anime messo in onda in Giappone per la prima volta nel 2006. Regista e autore della serie è Shukō Murase. Questo anime si inserisce a pieno nel filone del cyberpunk orientale, intriso di una vena spirituale e con profondi legami con la filosofia occidentale. Protagonisti della vicenda sono Vincent Law e Re-Il Meyer, il primo immigrato in cerca di cittadinanza nella città-cupola di Romdo, l'altra nipote del reggente della città. Nella città-cupola un virus inizia a colpire gli autoReiv, gli androidi che vivono insieme agli uomini come loro servitori meccanici: gli androidi infetti scoprono la capacità di pensare autonomamente, mentre una serie di omicidi si sussegue. In città poi compare una figura dotata di poteri quasi divini, il Proxy. Re-Il e Vincent finiscono per dover fuggire dalla città, coinvolti nella serie di omicidi e di apparizioni del Proxy, fino alla scoperta che Vincent è proprio il Proxy, e che non è l'unico della specie. I proxy sono infatti i custodi delle città sparse per il pianeta, unico resto della civiltà umana quasi distruttasi in una serie di guerre e migrata su altri pianeti in attesa di tornare. Vincent, il cui vero nome è Ergo Proxy, scoprirà infine che il vero destino dei proxy e degli umani rimasti sulla terra non sarà quello di sopravvivere, ma di preparare il pianeta per il ritorno degli umani partiti verso altri pianeti. Alla fine, scoperto di essere stato creato solo per morire e portare via con sé gli uomini che hanno avuto la sola colpa di vivere sulla Terra, Ergo Proxy decide di ribellarsi e di iniziare la propria lotta contro l'umanità.

Ergo Proxy è un'opera complessa, a tratti lenta ma indubbiamente affascinante. L'animazione è curata e mescola perfettamente CGI e disegni tradizionali; la trama si infittisce nel corso degli episodi, tra citazioni classiche, filosofiche, pop e postmoderne. Al centro della vicenda la questione della veridicità di ciò che riteniamo reale, della continua scoperta del proprio mondo interiore come farò di conoscenza sul buio della realtà. Cogito ergo sum è l'unica certezza su cui potrà fare affidamento Vincent ogni volta in cui le certezze intorno alla sua soggettività verranno meno. Ergo Proxy non raggiunge le vette di Akira o di Ghost in the Shell, ma è comunque una serie cyberpunk che vale la pena di guardare. Menzione speciale poi per le sigle, azzeccate, quasi anni '90 nella scelta della presentazione dei personaggi. 

giovedì 14 gennaio 2021

Sui social e la censura


È di questi giorni la notizia che i principali social netork hanno inibito al presidente Trump l'uso dei propri profili, a seguito dei fatti di Capitol Hill. Subito, soprattutto la destra ha iniziato a parlare di censura, insinuando il complotto delle Big Tech che si arrogano il diritto di censurare le posizioni scomode o a loro non gradite. Ma le cose stanno davvero così?

Per come la vedo io, il problema sta a monte e prima dei social network, ed è un problema in primis di analfabetismo digitale. Mi spiego: da anni ci si batte perché la rete internet sia considerata patrimonio universale e bene comune, in modo da garantirne un libero accesso a tutti. Di fatto la rete internet è una enorme (e fragile) infrastruttura che garantisce a pubblici (per esempio gli Stati con i loro siti e le loro app) e privati (per esempio Googlee, Facebook, Twitter) di offire all'utenza dei servizi. E qui casca l'asino, ovvero la confusione tra la libertà e pubblicità dell'infrastruttura e le specifiche dei siti o delle app che adoperano l'infrastruttura. Nel caso specifico, se io mi iscrivo su di un social o su un forum, servizio che normalmente mi viene offerto da dei privati, accetto nell'atto di iscrizione di seguire delle regole che si sommano a quelle già previste dalla legge: possono essere regole di puro bon ton digitale ("QUI NON SI SCRIVE IN CAPITOLETTO e non si parla di...") o cose più serie, come per esempio le norme sulla diffusione delle fake news o sull'incitamento all'odio o alla violenza. Riguardo a queste violazioni i social non si sostituiscono alla magistratura che dovrebbe vigilare su violazioni di tipo amministrativo, civile e penale, ma vigilano sul rispetto delle proprie norme di condotta. Quello che è accaduto con Trump è semmai una normalizzazione degli eventi: negli anni sui social si era creata, per le figure politiche, una sorta di immunità che ne proteggeva le figure anche a discapito delle reiterate violazioni sulle norme di comportamento accettate all'atto dell'iscrizione su un social (tralasciando il fatto che quelle violazioni coincidessero con dei reati). Ora Twitter, più di Facebook o Google, inizia ad applicare quelle regole pattuite anche alle figure di spicco, e lo può fare, non si sta sostituendo alla magistratura che dovrebbe semmai perseguire reati, però sta facendo in modo che sulla sua proprietà privata si rispettino le norme di comportamento che esplicitamente si erano accettate in precedenza. Come avverrebbe nella vita reale: io posso normalmente girare in pantaloncini in città, ma se mi metto in pantaloncini in chiesa, facile che mi caccino; normalmente posso scattare foto, ma se un museo prevede il divieto di foto e io lo infrango, mi cacciano; in un caffè letterario posso parlare di alcune cose, ma se mi metto a disquisire di qualcosa che non è gradito, mi cacciano.

Questo scambio, l'aver scambiato l'infrastruttura con i servizi che i privati forniscono attraverso l'infrastruttura, ha portato nel tempo a varie disfunzioni e miti che, all'apparir del vero, si trovano ad essere risibili, quando non distopici. L'aver confuso i social con delle piazze virtuali, per esempio, ci porta oggi a scoprire che in quelle piazze (che non sono mai state piazze e non sono mai state aperte e pubbliche) c'è qualcuno che può decidere cosa si può o non si può dire; in realtà era già così, ma siamo cresciuti nell'illusione che i privati che fornivano i servizi l'avrebbero fatto senza avvalersi dei propri diritti, mentre oggi scopriamo che quegli stessi privati possono permettersi di lasciare libertà di espressione e pensiero ai propri utenti fino a che non viene valicato un limite che dovrebbe essere invalicabile, quello del loro tornaconto economico e sociale. Allo stesso modo quanto accade oggi sui social (e che è sempre accaduto, ma che non abbiamo voluto osservare perché accadeva a noi comuni mortali, non ai potenti) ci mette in guardia dalle tentazioni di affidare le chiavi della democrazia a privati che vorrebbero fornire "piattaforme o sistemi operativi proprietari per la gestione della democrazia diretta". Come sempre, se qualcuno ti offre un servizio gratuito in rete è perché la merce che viene venduta sei tu (e sarebbe buono che ne fossi consapevole).

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....