domenica 25 ottobre 2020

La vergogna



Non si sconfigge una pandemia protestando perché non si vuole indossare una mascherina, e quella pantomima di libertà non è altro che il necrologio dell'intelligenza.

Ma non si sconfigge una pandemia demandando semplicemente alla responsabilità dei cittadini.

Non si sconfigge una pandemia senza programmazione. Invece la seconda ondata del Covid-19 pare coglierci di nuovo impreparati, evidenziando l'inettitudine di tutta la classe dirigente, quella che governa come quella che sta all'opposizione.

Non si può arrivare a questo punto senza, per esempio, aver rafforzato l'organico del sistema sanitario nazionale, senza aver raddoppiato, come promesso, i posti nelle terapie intensive, senza aver realizzato nuovi reparti e finanziato l'acquisto dei macchinari. Non si può arrivare a questo punto senza aver potenziato il sistema di tracciamento dei positivi, e anzi, come fanno le regioni, chiedendo di dismetterlo di fatto, eseguendo i tamponi solo sugli individui sintomatici. Non possiamo essere a questo punto senza che la medicina del territorio sia stata messa in sicurezza e resa capace di un vero e concreto primo intervento, anziché essere confusa da continue e contraddittorie direttive. Non possiamo essere arrivati a questo punto, il momento in cui di nuovo gli altri malati saranno messi da parte per far posto ai ricoveri per Covid-19, in una guerra tra poveri la cui colpa sta a monte, in chi doveva governare e in chi doveva vigilare (mentre invece invitava al liberi tutti).

Non è possibile che siamo arrivati a questo punto e, benché ogni evidenza rendesse palese questa necessità, senza che le scuole abbiano nell'estate approntato un serio protocollo per la didattica digitale integrata e non semplicemente dei pastrocchi burocratici; soprattutto non è possible essere qui e ora senza aver obbligato i docenti a formarsi in vista di una probabilissima nuova fase di Didattica a distanza. Invece abbiamo iniziato l'anno scolastico come se non fosse cambiato nulla, solo un po' più distanti e statici in aula, con le stesse programmazioni di sempre, gli stessi obiettivi, metodi e strumenti, come se nulla fosse accaduto. E anzi, di fronte alla realtà, alla necessità di tornare alla didattica digitale, a protestare perché la necessità lascia il re nudo, impreparato, sempre e comunque in stato emergenziale. Ma no, anziché prepararci per la nuova ondata di contagi, siamo andati dietro alla sterile polemica sui banchi e le rotelle. E il re nudo sono oggi i dirigenti scolastici che non hanno previsto e non hanno pensato alla formazione del proprio corpo docente, ma il re sono anche i docenti che si sono baloccati all'idea che la soluzione fosse un'improbabile paradigma della didattica in presenza senza se e senza ma.

Non è possibile non aver previsto un piano nazionale urgente per il mantenimento e il miglioramento della rete internet, a favore di chi dovrà operare in smart working come degli studenti.

Non è concepibile che le regioni non abbiano speso quanto ricevuto per potenziare il sistema dei trasporti pubblici locali e anzi abbiano trascorso l'estate nel tentativo di forzare la mano agli esperti sulla capienza degli autobus e dei treni, mettendo a repentaglio la vita dei lavoratori del settore e dei loro passeggeri.

Non è possibile essere arrivati alla seconda ondata così impreparati.

E non è possibile che si lasci pari spazio nella comunicazione pubblica a chi rende torbide le acque, a chi per ricerca di fama diffonde notizie false o imprecise sul contagio. In questo momento la voce dello Stato sul contagio deve essere una e una sola, pena la confusione e l'incredulità.

Ma non è possibile che tanta parte della popolazione si sia gongolata nell'idea che il virus cattivo non sarebbe tornato, non si sia premunita, non abbia programmato, non abbia cercato di innovare nel proprio lavoro, abbia lasciato tutto esattamente com'era prima del lockdown. Perché questo vuol dire non aver capito nulla, sperare sempre che tanto qualcuno risolverà i problemi per te, tanto qualcuno elargirà denari pubblici per coprire le mie mancanze. 

Di fronte a tanta strafottenza non c'è protesta che tenga: la colpa della situazione è di noi tutti, di chi governa ma lo fa sempre con i sondaggi sotto gli occhi, di chi dovrebbe essere opposizione ed invece è solo retorica e propaganda, di chi dovrebbe essere classe dirigente, di chi doveva essere l'intellighenzia e avrebbe dovuto preparare l'opinione pubblica; ma è colpa della stessa opinione pubblica, dal libero professionista dedito solo al suo orticello al dipendente salariato, passando per noi impiegati del settore pubblico. Tutti, ma proprio tutti, abbiamo guardato il nostro piccolo interesse momentaneo, abbiamo dimostrato di non aver capito nulla dai mesi passati.

Se era lecito essere impreparati a marzo, è esiziale esserlo ancora, ed è patologico esserlo per scelta.

domenica 18 ottobre 2020

Facciamo che la smettiamo di parlare di "buonsenso"?


Spesso e volentieri nella discussione pubblica, come in quelle private, ci capita di sentir dire che, alla fine dei conti, "basta un po' di buonsenso" o che "decidendo a buonsenso" si fa la scelta migliore. Ecco, in realtà questo schema mentale ha prodotto nel tempo numerosi danni, per cui, una volta per tutte dovremmo smetterla di appellarci al buonsenso per decidere. 

Certo, notoriamente Il buonsenso è annoverato fra i modi corretti per prendere una decisione, tuttavia è in primo luogo impossibile definire oggettivamente cosa sia il buonsenso e cosa non lo sia: per esempio è considerato buonsenso prendere ua decisione secondo il criterio del "giusto mezzo", il detto "in medio stat virtus" è fra i più noti e più accettati. Eppure in realtà non sempre questo criterio risulta corretto, infatti per esempio se consideriamo un estremo la democrazia e l'altro estremo la tirannide, è chiaro come in realtà il presunto giusto mezzo, una democrazia autoritaria, non possa essere la scelta migliore.

In realtà il buonsenso può far apparire credibili cose non vere: se osservo l'orizzonte dal mezzo della pianura, esso apparirà piatto, per cui facilmente potrei ritenere piatta la terra; se osservo l'oceano dalle coste della Francia non vedo le coste delle Americhe, a buonsenso potrei pensare che l'America non esiste; il buonsenso farebbe credere al bue che, dato che non è mai successo, non verrà portato proprio quel giorno al macello; il buonsenso mi dice, come crede Aristotele, che la pietra cade per terra perché quello è il suo luogo naturale.

Osservando gli esempi fatti ci accorgiamo quindi di qualcosa: il buonsenso è una forma di semplificazione estrema della conoscenza, ovvero una risposta ipersemplicistica a problemi complessi che non si vogliono o non si sanno riconoscere come tali. Infatti, la meccanica quantistica ci insegna che possiamo conoscere la realtà solo in termini probabilistici, e la stessa critica di Russell e Popper al pensiero induttivo ci insegna che anche il pensiero scientifico non è in grado di valutare tutte le variabili e può ragionare solo in termini probabilistici.

E allora, perché siamo portati a ragionare secondo questo schema? Perché il buonsenso è in genere una forma consolatoria e autoassolutoria per prendere decisioni, tendente al conservatorismo della condizione data. Secondo questo schema dato che il maschio è generalmente più forte e fisicamente superiore allora è giusto che domini la donna; era ed è il buonsenso che fa ritenere la borghesia più adatta a detenere il governo, infatti, secondo il criterio che stiamo esaminando, dato che già deteneva le redini del potere vuol dire che ne è più degna e che è più adatta a farlo rispetto ad altre classi sociali; il buonsenso faceva ritenere credibile agli occidentali del XIX secolo, accidentalmente più ricchi e potenti, di essere per lo stesso motivo più degni di essere più ricchi e potenti di qualsiasi altro popolo.

Stando a questa analisi, diventa assai discutibile adottare questo modello logico decisionale, anzi, risulta evidente come coloro che lo propongono siano in realtà pessimi decisori. La stessa eventualità in cui chi dovesse decidere secondo questo modello dovesse prendere una decisione corretta o fortunosa non dovrebbe stupire: come detto precedentemente, non è sempre possibile calcolare le infinite variabili che possono variare i termini probabilistici di un avvenimento e di una decisione, per cui, del tutto casualmente, anche chi decide a caso o secondo schemi fallaci può prendere apparentemente decisioni correte; può anche capitare che pur girando del tutto a vuoto alla fine mi ritrovi nella strada che stavo cercando; questo tuttavia non dimostra che il mio girare a vuoto sia il modo migliore per raggiungere la mia meta, o che sia un modo migliore di un'attenta disamina dell'itinerario che preceda il mio mettermi in moto.

mercoledì 14 ottobre 2020

Ma quindi, come sta andando a scuola?




Se volessimo partire dal titolo del post, dovremmo onestamente dire che non c'è una risposta unica e definitiva. Decliniamo quindi il ragionamento: occorrerebbe dire una volta per tutte che fare scuola nella scuola dell'infanzia non è la stessa cosa che fare scuola alla primaria, men che meno alla secondaria di primo grado o addirittura nella secondaria di secondo grado; per questa ragione, pensare di poter applicare le stesse regole in tutto l'enorme mondo della scuola pubblica ha poco senso.
Se guardiamo alla scuola dell'infanzia o della primaria, probabilmente potremmo dire che il ritorno alla scuola in presenza sta funzionando. C'è anche da dire che nella scuola dell'infanzia non è previsto distanziamento degli alunni, cosa che contribuisce a ridurre la sensazione di straniamento dei bambini e a dare una parvenza di normalità in una situazione oggettivamente anormale.  Rimane il fatto che per gli adulti, educatori e maestre che lavorano in queste scuole, la gestione dell'aula, soprattutto nel caso in cui gli alunni non possiedano o non abbiano portato con sé i materiali scolastici, a volte risulta difficoltosa. 
Tuttavia, sebbene la didattica in presenza per queste fasce di età sia praticamente l'unica prevista, va anche detto che, nel caso di impossibilità di frequenza da parte dei bambini, anche solo perché in attesa di tampone o in isolamento cautelare, non esiste nessuno strumento codificato per il coinvolgimento nelle attività: in soldoni, se l'alunno è a casa con la famiglia, e non per sua scelta  o scelta della famiglia, è lasciato da solo.
Nella scuola secondaria la situazione si complica: nel primo grado viene, ancora, previsto dalle scuole quasi esclusivamente il ricorso alla didattica in presenza; questa scelta nasce dal fatto che gli alunni di quest'età non sono ancora abbastanza autonomi per lavorare da remoto da casa, inoltre, essendo ancora nella scuola dell'obbligo, risulta particolarmente grave la difficoltà nel raggiungere a distanza gli alunni potenzialmente più fragili perché già vittima di digital divide o, più in generale, perché in condizioni socio-culturali precarie. Dall'altro lato però gli studenti della secodaria di primo grado sono a volte fruitori dei mezzi pubblici locali, per cui, potenzialmente più a rischio dei bambini più piccoli (che comunque potrebbero essere compagni di scuola in istituti comprensivi) e statisticamente più impegnati in attività extrascolastiche o in una vita sociale più attiva rispetto agli alunni della primaria. Insomma, alle medie, malgrado l'obbligo di distanziamento (spesso difficilmente perseguibile) e di mascherine in situazione statica (più un concetto astratto che la realtà dello svolgimento di una lezione) la situazione si complica e così le condizioni di pericolo aumentano.
Nella scuola secondaria di secondo grado le cose cambiano: molte scuole, soprattutto fra i licei, hanno scelto l'alternanza fra frequenza a distanza e  in presenza o lo smezzamento delle classi. Questa scelta si giusitifica con la maggiore autonomia degli studenti, le maggiori competenze informatiche e, nel caso degli alunni oltre i 16 anni, nel superamento dell'obbligo scolastico e quindi il venir meno degli obblighi della scuola in merito alla dispersione scolastica. C'è poi da dire che nell'esperienza dell'anno scolastico passato, è in quest'ordine scolastico che la didattica a distanza ha dato i migliori risultati, tanto è vero che è fra i docenti e gli studenti di  quest'ordine che è più diffusa la richiesta di un ritorno, totale o parziale, alla didattica a distanza. C'è poi da dire che gli alunni di queste scuole sono anche quelli potenzialmente più a rischio, sia perché di età più avanzata (numerosi studi dimostrano che l'incidenza del contagio da Covid sia molto superiore fra i ragazzi vicinoi ai 18 anni rispetto ai bambini) sia perché socialmente più attivi, e infine perché i maggiori fruitori dei mezzi pubblici locali e interprovinciali. Tuttavia nel caso di queste scuole rimangono diversi scogli che emergeranno durante l'anno scolastico: per le scuole professionali e tecniche la difficoltà di gestire l'accesso ai laboratori, spesso aule non abbastanza capienti per l'accesso di una intera classe in presenza; se si considera che in una giornata una classe può trascorrere in un laboratorio professionale anche quattro ore, decidere lo smezzamento della classe per la frequenza del laboratorio vuol dire o raddoppiare il numero di laboratori impegnati (spesso non disponibili nelle scuole) o impegnare in una giornata un singolo laboratorio esclusivamente per una classe. Entrambe le soluzioni, per gli istituti tecnici e professionali con molti iscritti sono situazioni che creano un cortocircuito nell'organizzazione scolastica difficilmente risolvibile. D'altro canto, il passaggio alla didattica a distanza esclude a priori la possibilità di svolgere le attività pratiche nei laboratori. Un secondo nodo che emergerà nel corso dell'anno sarà lo svolgimento dei PCTO, l'alternanza scuola lavoro, per cui scuole e aziende dovranno garantire lo svolgimento in condizioni di assocluta sicurezza per gli studenti, sempre sperando che improvvisse impennate dell'andamento dei contagi non ne impediscano lo svolgimento. Molte scuole si stanno attrezzando per far svolgere i PCTO prima possibile, ma questo ha delle conseguenze sulla didattica: se si considera che il primo mese di scuola è stato impiegato dalla gran parte dei docenti per riprendere, come da indicazioni ministeriali, quanto fatto l'anno scorso a distanza, e tenuto conto che molti alunni andranno in PCTO già dalla metà di ottobre o da novembre, in alcune classi i docenti si troveranno a poter concretamente svolgere il proprio programma da dicembre o addirittra da gennaio, situazione particolarmente grave per le classi terminali.
Rimanendo sulla didattica, occorre dire una cosa: è esperienza di molti insegnanti la sensazione di una didattica castrata. Al di là dei casi di Covid e delle chiusure improvvise, in classe spesso si lavora male. Dover avere sempre la testa a mantenere le distanze, l'insegnante che si può muovere solo intorno alla cattedra o, meglio, dovrebbe trascorrere tutte le sue ore seduto senza muoversi (infatti le ultime indicazioni delle aziende sanitarie prevedono sempre per il docente una distanza obbligatoria di due metri dagli studenti, per cui, un eventuale contagio del docente sarebbe una sua responsabilità dovuta ad un comportamento scorretto in classe); il dover evitare in ogni modo lo scambio di materiali con gli studenti (è vero che il CTS dice che non c'è problema negli scambi di materiali se ci si disinfetta le mani, ma le indicazioni burocratiche poi dicono altro), i quali non possono avvicinarsi alla lavagna, stare sempre sul chi va là sui sintomi degli alunni; la didattica digitale integrata con gli alunni a casa e i docenti a scuola con connessioni wifi scolastiche che non reggono il carico, audio incomprensibile, lavagne impossibili da leggere attraverso lo schermo, sono tutte condizioni per cui si può affermare che, allo stato attuale, spesso si fa male scuola. 
Mentre l'anno scorso è stata data ai docenti la possibilità di sperimentare medotologie e tecniche innovative nella didattica a causa di una circostanza che nessuno si sarebbe mai augurato e mai si augurerà di rivivere, quest'anno si ha l'impressione di tornare indietro alla scuola di 100 anni fa. Tra l'altro senza poter meglio aiutare gli alunni in difficoltà, date le condizioni dette in cui deve lavorare l'insegnante. 
In conclusione, non c'è un modo per tenere aperte le scuole che possa funzionare per tutti e in tutte le condizioni, e la gestione delle scuole risulta particolarmente complessa anche in ragione della retorica che ha accompagnato la riapertura delle scuole. La riapertura delle scuole come edifici scolastici (dato che gli insegnanti non hanno mai smesso di fare scuola, sebbene a distanza) ha portato a condizioni difficilmente gestibili. Si aggiunga il perdere tempo nel potenziare i trasporti pubblici da parte delle regioni e dei comuni, specie quelli governati dall'opposizione al governo nazionale, per capire come l'apertura degli edifici scolastici porti con sé problemi che non possono essere risolti con slogan populisti come "gli studenti vogliono stare a scuola" o "le scuole sono in sicurezza". In entrambi i casi si tratta di ipersemplificazioni che dicono solo una parte della verità e che ci raccontano un mondo che parla di scuola, ma che si occupa pocco e male del bene della scuola e di chi ci sta dentro nonché della reale funzione e del reale funzionamento dell'istituzione.

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....