giovedì 31 ottobre 2019

Iliade, Omero



Leggere l’Iliade nel 2019 non è affatto cosa semplice: intanto perché quasi sempre si tratta, inconsapevolmente, di una rilettura, dato che in un modo o in un altro per tutta la tua vita, sin dalla scuola primaria, hai avuto a che fare con il testo omerico, sminuzzato e parcellizzato in letture antologiche più o meno fuorvianti; in secondo luogo perché sul testo originario si sono stratificate decine di interpretazioni e riletture diverse nel corso dei quasi tre millenni di storia che ci separano dal momento in cui Omero o chi per lui ha deciso di mettere assieme quelli che probabilmente erano dei canti distinti recitati nelle pubbliche piazze o nelle corti e farne un testo, orale, unitario. Sia come sia, ancora oggi, dopo tutto questo tempo, l’Iliade rimane un testo magistrale e sorprendente. Sorprendente perché stupisce vedere la finezza narratologica con cui l’opera è stata costruita: il protagonista, Achille, dopo la rapida furia che lo coglie a partire dai primi versi del componimento, sparisce ben presto. Ma la sua presenza è ben viva nelle speranze e nelle aspettative degli altri personaggi e, soprattutto, del lettore/ascoltatore. Non va dimenticato poi come il destinatario dell’opera nei tempi antichi sapesse bene che Achille era predestinato a compiere il suo destino - uccidere Ettore e morire egli stesso - il lettore lo sa già quando inizia a leggere l’opera. Eppure l’importante, ieri come oggi, non è solo che la trama trovi il suo sviluppo in maniera avvincente, ma con quali significati l’autore ci conduce all’esito ultimo della vicenda. Anche perché la stratificazione successiva porta spesso il lettore comune a pensare che Achille muoia nell’Iliade: no, Achille sa di dover morire, ma non è qui che il suo destino si compie. Eppure è già tutto qui, perché Achille, e gli altri personaggi che ruotano intorno a lui, sa come si concluderà la sua vicenda terrena. Il punto è che non è la morte che conta nella vicenda di Achille, ma la continua scoperta della propria umanità nel momento in cui è ancora più evidente la propria eccezionalità. Achille è l’eroe più potente della sua generazione, eppure non può nulla di fronte allo strapotere politico di Agamennone; Achille è l’eroe più temuto in guerra, eppure non può far nulla di fronte alla morte dell’amato Patroclo; Achille è la furia vindice che si scaglia in battaglia, ma è la volontà divina a realizzarne l’opera, mentre lui è costretto ad arrestarsi persino di fronte alle acque di una piccola divinità fluviale come lo Scamandro; infine, Achille ha fatto scempio del corpo dell’odiato Ettore, ma non può non riconoscere nella sofferenza di Priamo di fronte alla morte del figlio, la sofferenza di Peleo che rimarrà anch’egli anziano debole senza un protettore nella figura del condottiero mirmidone.
È la scoperta dell’umanità che affratella il vero tema della vicenda di Achille, che conduce per mano alla xenia nobile e disperata verso Priamo, che permette ad Achille di riverire il padre di Ettore come se fosse suo padre, che lo induce infine a promettere tanti giorni di tregua quanti ne occorreranno per rendere i giusti funerali alll’uomo che fino a quel momento più ha odiato.
Intorno a questa vicenda ruotano le aristie degli altri eroi, greci o troiani che siano: tutti però alle prese con l’ineluttabilità della morte e la limitatezza del loro essere eroi. Nessuno di questi eroi, da Aiace ad Idomeneo, da Nestore ad Ulisse, da Diomede a Menelao, passando per Ettore, Enea e Sarpedonte, è invincibile; tutti sono costretti a prendere atto spesso e volentieri della finitezza delle loro azioni e delle loro menti: persino il fortissimo Aiace o il pio Ettore saranno costretti ad arretrare, a cedere, a ritirarsi, a provare paura e orrore per la violenza della guerra.
In fin dei conti, il più rinomato canto di guerra risulta essere il più compiuto manifesto dell’umanità che si scopre uguale nella morte e nella finitezza della vita.

lunedì 28 ottobre 2019

Sulla disfatta del M5S e il tradimento degli italiani



Ho letto da qualche parte che il M5S sarebbe stato punito per il suo tradimento. Tralasciando il fatto che, per quanto mi riguarda, il M5S non era da votare prima e non sarebbe da votare ora, tradimento di chi e di cosa? M5S, prima delle politiche, si era presentato come avversario e contendente alla Lega, non come suo alleato, il primo governo Conte è nato dopo dall'esigenza di trovare risposta parlamentare agli esiti delle elezioni, elezioni che avevano visto M5S primo partito, PD secondo ma in forte calo e Lega terzo ma in forte ascesa. Alla caduta del primo governo Conte per volontà di Salvini, legittimamente il M5S ha cercato in Parlamento una nuova maggioranza comparabile numericamente e nell'esigenza di rappresentatività del voto delle politiche Insomma, nessun tradimento né letterale né simbolico.

Ma c'è un punto in più: la categoria del tradimento è una categoria politica individuale, non collettiva. Quando io uso la categoria del tradimento sto individualizzando il mio rapporto con la politica e con i partiti. Il M5S non ha tradito i suoi elettori come gruppo sociale, ma molti di loro si sono sentiti traditi come singoli individui. Che è la dimostrazione di come nell'interpretare ciò che avviene intorno a noi spesso non sappiamo fare altro che applicare la nostra esperienza pratica e pensare che sia valida per tutti: così ogni volta che un partito compie delle scelte politiche non sta prendendo delle decisioni che, pur non essendo direttamente rivolte a me, potrebbero fare gli interessi della collettività; invece il partito, come un amico o un amante infedele, sta decidendo di ferire proprio me, di fare qualcosa proprio contro di me, come se la collettività e lo stato ruotassero esclusivamente intorno a me. L'egotismo (e l'erotismo) divenuto origine e nucleo della decisione politica, la riprova che i discorsi sull'analfabetismo funzionale non sono chiacchiere da bar, l'estremo vulnus della personalizzazione della politica.

venerdì 11 ottobre 2019

Legami di sangue e legami volontaristici nell’interpretazione strutturalista del testo

Di sconosciuto - Jastrow (2006), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1314418



A partire dagli scritti di Levi-Strauss l’interpretazione strutturalista del mito, in particolare nella sua rappresentazione tragica, vede nell’azione dei personaggi e nella reazione dell’ambiente che li circonda l’espressione di un conflitto fra diverse strutture sociali (Lévi-Strauss, 2015)⁠. È perciò ipotizzabile, secondo questa visione, che il cantore o il tragediografo che mettano in scena il mito siano più o meno consapevoli interpreti di tale conflitto, endemico alla società e che in essa sta causando tensione, finanche generando una crisi.

Esempio celebre di questo tipo di interpretazione del mito è la vicenda degli Atridi (Eschilo, 2010)⁠, in particolare nel suo esito ultimo raccontato sia da Omero nell’Odissea che da Eschilo nell’unico ciclo di tragedie che possediamo interamente. Nella famiglia degli Atridi, funestata da uccisioni di consanguinei sin dalle prime sue generazioni, Agamennone, reo di aver sacrificato la figlia vergine Ifigenia per ottenere i favori degli dei alla partenza del suo esercito contro la città di Troia, viene al suo ritorno ucciso a tradimento dalla moglie Clitemnestra e dall’amante di lei e cognato Egisto. L’uxoricidio verrà tuttavia vendicato dal figlio dei due sposi, Oreste, insieme alla sorella Elettra, generando tuttavia un cortocircuito: è più grave la colpa di un figlio che uccide la madre, o quella di una moglie che tradisce e uccide un marito?

Dietro questa domanda, secondo lo strutturalismo, si cela il conflitto fra due modelli di società: quella basata sulla comunanza di sangue, per cui la violenza mossa contro un consanguineo è colpa non perdonabile e da perseguitare in eterno (è ciò che infatti tenteranno di fare le Erinni, divinità ctonie, contro Oreste); dall’altro lato la società fondata sui rapporti instaurati su base volontaria, per cui il tradimento di un patto di fedeltà è colpa ancora più grave del matricidio. In Eschilo quindi, secondo questa interpretazione, assieme allo scoppiare della crisi fra questi due modelli di società, ed è chiaro come nell’Atene dei maratonomachi, com’era stato Eschilo, appena fondata la propria democrazia, il conflitto fra legami di sangue e legami volontaristici dovesse essere questione importante, addirittura fondamentale. Eschilo troverà una soluzione alla questione nell’esito del suo ciclo tragico: il tribunale instituitosi ad Atene per giudicare Oreste non potrà giungere ad una soluzione, ma sarà il voto decisivo della dea Atena a far pendere il piatto della bilancia in favore dell’eroe matricida e di conseguenza del nuovo modello sociale volontaristico contro quello fondato sui legami di sangue. Eschilo così sancisce la nascita di una nuova società e al contempo giustifica lo smantellamento dei legami tribali, ancora molto forti nel V secolo a. C.

Stando a questo modello interpretativo, tuttavia, il conflitto fra società dei legami di sangue e società dei legami volontaristici sopravvive ad Eschilo e alla sua tragedia: a dimostrazione si possono portare due fra le tragedie più famose di Sofocle, l’Edipo re e l’Antigone. Nella prima celeberrima tragedia (Sofocle, 2005)⁠ Edipo, figlio del re di Tebe Laio e di Giocasta, viene dai due ritenuto morto dopo essere stato affidato ad uno dei servitori per essere ucciso; tuttavia Edipo, in realtà affidato dal servitore ai sovrani di Corinto, venuto a conoscenza di un vaticinio che lo vuole futuro uccisore del padre e della madre, fugge dalla città peloponnesiaca per giungere proprio a Tebe. Edipo uccide ad un crocicchio Laio, con cui incorre in una lite senza essere riconosciuto e senza riconoscere il padre; entrato a Tebe dopo aver risolto l’indovinello della Sfinge che affligge la città, Edipo sposa inconsapevole la madre Giocasta, causando in tal modo lo sdegno del dio Apollo e l’insorgere della pestilenza. Ogni indizio conduce verso Edipo, ma solo egli, più lungimirante degli altri cittadini nel superare la Sfinge, non riesce a vedere di quale colpa s’è macchiato; a conclusione della tragedia, di fronte al riconoscimento del proprio essere patricida nonché dell’aver compiuto incesto, Edipo fugge dalla città, dopo essersi tolto la vista. Giocasta stessa, conscia della mostruosità compiutasi nella sua casa, si toglie la vita.
Come si diceva, se si prende per buona l’interpretazione strutturalista del mito, la colpa di Edipo è la colpa di colui che, sebbene in maniera involontaria, si è reso colpevole delle peggiori fra le violazioni dei legami di sangue uccidendo il padre e unendosi carnalmente con la madre nel tentativo volontaristico di creare una propria identità (Colombo, n.d.)⁠. La critica freudiana si è concentrata sulla violazione del tabù dell’incesto, ma secondo il ragionamento che qui si sta seguendo, ancor prima dell’unione con la madre, è già con il patricidio che Edipo diviene inguaribilmente colpevole di fronte alla società e agli dei, e per quanto la volontà sia fermamente convinta della bontà delle sue scelte, l’ineluttabilità del legame fino a quel momento ignorato prevale su ogni altro tipo di logica. D’altronde, l’incesto in questo caso rappresenta plasticamente la soluzione, l’unica possibile, ad un enigma vivente come Eidpo (Lévi-Strauss, 1972)⁠

Che questa sia la linea seguita da Sofocle appare ancor più chiaro leggendo l’Antigone (Sofocle, 1977)⁠. La stratificazione di diverse letture moderniste dell’eroina (Butler, 2003)⁠ impediscono forse oggi una serena interpretazione della tragedia sofoclea: cercando tuttavia di contestualizzare l’opera, si potrà forse ritenere che nello scontro tra Creonte (il cui governo si fonda sulla volontà di superare i mali occorsi alla città di Tebe dalla maledizione che colpisce la stirpe di Cadmo) e Antigone (portatrice delle istanze della famiglia e dei legami di sangue) si riproponga quella crisi, non ancora superata, che già aveva animato l’opera di Eschilo. Proprio per questo Antigone potrà dichiarare di desiderare la sepoltura del fratello Polinice e che non allo stesso modo si sarebbe comportata per una marito o per un figlio:
Infatti mai, né se fossi divenuta madre di figli, né se fosse stato il cadavere di mio marito a corrompersi, io mi sarei assunta questo ufficio contro il volere dei cittadini. E in forza di qual principio lo affermo? Morto il marito, ne avrei avuto un altro; e da un altro uomo avrei avuto un figlio, se quello mi fosse mancato: ma ora che mio padre e mia madre sono in fondo all’Ade, non è mai più possibile che mi nasca un fratello. Eppure, poiché secondo questa legge ti ho particolarmente onorato, è sembrato a Creonte che questa fosse una colpa e che io abbia osato una cosa terribile, fratello mio. E ora mi trascina via, presa così in sua mano, me che non ho avuto talamo, non imeneo, non sorte di nozze, né figli da allevare.(Sofocle, 1977)⁠
In conclusione, la nascita di un nuovo modello di convivenza e di regolamentazione del vivere insieme non può non suscitare conflitto nel corpo sociale; di questo conflitto si fanno portavoce più o meno consapevoli gli intellettuali, gli scrittori, i costruttori del mito. Nel caso affrontato, la nascita di una società fondata su base volontaristica come la democrazia ateniese mette in discussione la preminenza dei legami di sangue alla base delle strutture familiari e tribali, e la crisi che ne risulta trova trasposizione artistica e ideologica nel ciclo di tragedie dell’Orestea di Eschilo e, dall’altra prospettiva, nelle tragedie tebane di Sofocle. Né si deve pensare che un simile meccanismo di risposta ad una crisi sia esclusiva della tragedia antica: si guardi all’Amleto o, ancora di più, al Romeo e Giulietta di Shakespeare che, fra le altre cose, ripropongono il conflitto fra legami di sangue e legami volontaristici in un’epoca in cui la concezione della famiglia sta iniziando a mutare radicalmente, nel passaggio dalla famiglia patriarcale allargata medievale alla famiglia nucleare di età moderna.



Butler, J. (2003). La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte. Bollati Boringhieri.

Colombo, R. (n.d.). Edipo: l’illusione dell’Identità. Retrieved from http://www.filosofia.unimi.it/itinera/mat/saggi/?ssectitle=Saggi&authorid=colombor&docid=edipo&format=html

Eschilo. (2010). Orestea (Agamennone – Coefore – Eumenidi) (E. Savino, Ed.). Garzanti.

Lévi-Strauss. (1972). Elogio dell’antropologia. In Razza e Storia e altri studi di antropologia. Einaudi.

Lévi-Strauss, C. (2015). Antropologia strutturale. Il Saggiatore.

Sofocle. (1977). Antigone (R. Cantarella, Ed.). Milano: Mondadori.

Sofocle. (2005). Edipo re (L. Correale, Ed.). Milano: Feltrinelli.

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....