domenica 15 dicembre 2019

Annibale e Scipione, del titanismo e di Nemesi

Annibale
Foto: Wikipedia
La storia di Annibale e Scipione l’Africano è una di quelle storie che, come direbbe Baricco, sembra fatta a posta per diventare la sceneggiatura di un film o di un romanzo. Nelle vicende di questi due grandi dell’antichità non si può non avere l’impressione che agisca la mano di un regista occulto, che a volte vuole condurre la vicenda in maniera talmente iperbolica da creare corrispondenze che apparirebbero persino banali in un romanzo d’avventura. Come nella loro entrata in scena nelle vicende dei rispettivi popoli. L’uno si chiama Hanniba'al, sarà più famoso come Annibale. Ha diciassette anni, è troppo giovane per essere un soldato, eppure sta sul campo di battaglia da quando ha nove anni. Ha seguito il padre Amilcare Barca in giro per la penisola iberica mentre ricostruiva il potere cartaginese distrutto dai Romani, quei Romani che il padre gli ha fatto giurare di odiare in eterno. Amilcare gli ha dato i migliori maestri, Greci, è gli ha fatto fare esperienza bellica: gli ha fatto vedere cosa vuol dire guadagnarsi l’onore militare, lui, Amilcare, a cui persino i Romani, sconfiggendolo, avevano riconosciuto l’onore delle armi. Eppure a diciassette anni Annibale vedrà morire il padre sul campo e non potrà farci niente: si erano spinti troppo oltre ed erano stati presi di sorpresa attraversando un fiume. Lui, Annibale, si era salvato, ma per il padre non c’era stata speranza. 

Anche Publio Cornelio Scipione entra in scena a diciassette anni, anche lui al seguito dell’esercito, romano questa volta, di cui il padre è comandante in quanto uno dei due consoli. Alla battaglia del Ticino Annibale si scontra proprio con il padre del futuro suo vincitore; la vittoria arride ai Cartaginesi, ma Publio, al contrario di Annibale, riuscirà a salvare il padre, ferito gravemente, trascinandolo via dal campo di battaglia.

Le vicende dei due si incroceranno di nuovo: a Canne, lì dove si realizzerà una delle più grandi disfatte della storia romana, solo due anni dopo la battaglia del Ticino, tutti e due i nostri protagonisti saranno sul campo. Sarà a Canne che Annibale metterà a segno per la prima volta la sua innovativa azione avvolgente: avanzando con le truppe più deboli, che rinculeranno all'indietro, darà ai Romani la sensazione di una vittoria facile, facendoli avanzare verso una formazione che, ad un comando, prese invece, con i veterani ai lati, una forma ad imbuto, inghiottendo le legioni romane e annientandole, accerchiate anche dalla cavalleria; ma anche questa volta, pur nell’enorme massacro di Romani, Publio Cornelio Scipione si salverà, riuscirà a scappare e, addirittura, a riorganizzare e riportare a Roma una parte della cavalleria. 
Gli schieramenti della battaglia di Canne
Foto: Wikipedia
Dopo Canne apparentemente le strade dei due si dividono: Scipione apparentemente diventa figura di second’ordine, Annibale devasta il meridione dell’Italia. Eppure…

Eppure poi Scipione ripercorre i passi di quello che, a questo punto, diventa il suo odiato maestro. Se la gloria del Barcide era nata in Spagna, era dalla Spagna che andava fatta concludere, arrivando a rubare tutte le tecniche e le strategie del Cartaginese. E così, per la prima volta fra i Romani, ma come era già per i soldati di Annibale, Scipione crea un legame indissolubile con le sue truppe. Di nuovo le vicende dei due si incrociano: le truppe assegnate al Romano sono quelle, superstiti, che Annibale ha già sconfitto, le truppe di Canne, che ora vedono in questo giovane generale la possibilità di rifarsi un nome e una dignità.

Annibale era stato maestro dell’inganno, e allora anche Scipione, per la prima volta fra i suoi, prende Cartagena, nella penisola iberica, non rispettando le regole della cavalleria.

Quando anni dopo, presa la Spagna, Scipione si volgerà all’Africa, a Cartagine, Annibale avrà soggiornato a qualche centinaio di chilometri da Roma per ormai più di un decennio. Allora il generale Cartaginese dovette rammaricarsi di come, pur sotto mille pericoli, i Romani inviassero le proprie truppe lontano dalle proprie terre mentre la propria città, Cartagine, al primo pericolo lo richiamasse in patria. Eppure il pericolo c’era: ai Campi Magni, poco lontano la capitale africana, Scipione aveva dimostrato di aver raggiunto il pieno possesso delle strategie militari di Annibale, aveva reso le armate di Roma molto più mobili. Aveva eguagliato il maestro, sbaragliando il nemico. Eppure…

Eppure a Zama i due scontreranno, alla fine. Ma prima si incontreranno, si fiuteranno, cercheranno l’uno di capire l’animo, la disposizione dell’altro. E Annibale capirà che no, ancora Scipione non l’ha eguagliato.

Sul campo siamo arrivati al momento della resa dei conti: Annibale con i suoi veterani, con i mercenari e con i cittadini di Cartagine, Scipione con i suoi veterani, cioè gli sconfitti di Canne, e gli uomini che ha racconto in Spagna, in Italia e in Africa. 

Gli schieramenti della battaglia di Zama
Foto: Wikipedia
Annibale provoca il più giovane avversario, lo saggia, lo induce a battaglia: quello è talmente sicuro di poter prevedere tutte le mosse del Cartaginese da non aver paura. Quando questi gli lancia contro i suoi elefanti da guerra, Scipione è lesto a disporre le sue truppe in colonne, creando dei canali di sfogo per le belve. Eppure…

Eppure in questo modo ha dovuto perdere la disposizione favorevole a tentare rapidamente l’accerchiamento. Certo, intanto le sue cavallerie hanno già sconfitto le cavallerie altrui, ma il Romano confida talmente nei suoi legionari da non richiamarle indietro: basteranno i fanti. E invece i fanti non bastano, perché quando Scipione inizia la manovra di accerchiamento scopre che Annibale ha tenuto uno stadio più indietro i suoi fidatissimi veterani: certo, ha mandato al massacro i cittadini, ma erano inesperti, non avrebbero potuto nulla; se la vittoria sarà cartaginese, lo sarà grazie ai veterani. E così Scipione scopre che è lui che sta per essere accerchiato, deve allungare le sue truppe, le deve incitare alla resistenza. L’allievo non ha superato il maestro. Sono minuti, ore di fuoco, di sangue, di paura. Ed è solo il caso, o la sceneggiatura, a beffare, per la prima e ultima volta, Annibale. Le cavallerie romane ritornano indietro, prendono i veterani Cartaginesi alle spalle. Accerchiati, impossibilitati alla fuga, vengono massacrati. Questa è la fine della potente armata che per anni ha tenuto sotto scacco Roma.

Non è la fine di Annibale, però. Lui riuscirà a salvarsi, a Cartagine, poi in Oriente, fino alla morte inseguito dai sicari romani, ancora nella lontanissima Bitinia, sempre a tramare contro l’odiato nemico, sempre con le proprie opere d’arte al seguito, e sempre inseguito dalla gloria politica e militare degli Scipioni.

C’è nella storia di Annibale e Scipione il fascino del titanismo, dell’uomo che, solo, è capace di tenere testa alla storia e, pare, rivoltarla a proprio diletto. Eppure Annibale, il monomakos, nella sua lotta senza quartiere a Roma alimenta infine l’imperialismo romano che, a quel punto, vedendo ovunque nemici, ovunque agirà per evitare un nuovo Annibale. Ma nella storia di Scipione sembra di scorgere l’esempio di Nemesi, la giustizia che ridistribuisce le fortune: troppa è stata la gloria del Barcide per durare, e sarà Scipione, che del nemico è emulo, a togliergli la vittoria, ma soprattutto saranno le truppe a cui Annibale aveva tolto la dignità.

Certo, c’è in questa storia anche tanta retorica: sin dall’antichità le fonti hanno adoperato questi due generali per costruire una storia che giustificasse l’ascesa romana e spiegasse il declino cartaginese, eppure non si può non assaporare, pur nel romanzesco, il gusto che solo le vicende storiche più emblematiche possono avere.

Publio Cornelio Scipione l'Africano
Foto: Wikipedia



giovedì 5 dicembre 2019

I test OCSE PISA e gli analfabeti funzionali, quelli veri

Sui risultati dei test OCSE PISA ieri l'Italia ha vissuto un mirabile esempio esplicativo di cosa sia l'analfabetismo funzionale, a partire da tanta stampa che prima ha titolato in maniera allarmistica i suoi articoli, per poi andare a rettificare durante la giornata, a danno ormai fatto (Repubblica e TPI, per dirne due).




In pratica il 70% di adulti italiani, che non capisce una fava di quel che legge o sente, ha commentato dei dati che non ha neanche letto, riportati in un articolo di cui ha letto solo il titolo, secondo cui solo un ragazzo quindicenne su venti capisce quel che legge, mentre i dati dei suddetti test parlano in realtà di un 23% di studenti italiani che non possiede competenze linguistiche neanche sufficienti a comprendere un testo di media difficoltà; a questo punto, quel 70% di adulti che ha dimostrato sciatteria e incompetenza, si è sentito in dovere di recriminare sulla scuola, tutta senza distinzione di grado, perché non boccia, non forma, ha docenti impreparati.... Tuttavia veniva compresa nella reprimenda solo la scuola che è venuta dopo che quel 70% di adulti ha finito il proprio percorso d'istruzione. Perché fino a quando a scuola ci stava quel 70%, che per la cronaca è spalmato su almeno quarant'anni di storia italiana, tutto andava bene, a scuola e non solo. Come infatti quel 70% di adulti ha ben dimostrato nell'interpretazione dei dati OCSE PISA. Immaginate la scena e ridete, o piangete,, decidete voi.

In allegato, comunque, un'Infografica sui risultati dei test OCSE PISA.

Nota. Il dato accennato, quello del 70% di adulti analfabeta funzionale, non lo invento io: è frutto in primo luogo degli studi di Tullio De Mauro, e confermato dai risultati dei test OCSE PIAC.

Se volete farvi quattro risate su tutta la questione, partite dai post di Vanverismo pedagogico, continuando con l'analisi delle stupidaggini dette in giro per il web e i media in generale condotte da Mila SpicolaEnrico Galiano e Marco Beccaria.


domenica 3 novembre 2019

Sulla polemica tra La Verità e Luciano Canfora




La Verità (Prima ha invaso l’ateneo coi parenti. Ora Canfora vuol fare invadere la Ue) attacca Luciano Canfora perché, semplicemente, lo storico e grecista afferma quello che molti storici dell'antichità affermano ormai da qualche decennio, ovvero che la purezza della cultura occidentale non è mai esistita, e che già nell'antichità il Mediterraneo è stato luogo di scambio culturale e interscambio economico. Luca Pignataro, che non è uno sprovveduto né certamente un ignorante in merito alla storia, usa fondamentalmente due argomenti nel suo attacco: 

    1. il primo, ad hominem, l’accusa di nepotismo nei confronti di Canfora. Eppure a ben vedere l’attacco non è altro che una fallacia logica, di quelle da retorica di bassa lega, facilmente smontabile con una risposta: se Pignataro sa di illeciti nelle nomine dei parenti di Canfora a Bari, perché non denuncia? E se non denuncia, è forse perché teme di non poter dimostrare gli illeciti? E se non li può dimostrare, non è che questo avviene perché di illeciti non ce ne sono?
    2. Il secondo attacco, questo di natura più prettamente disciplinare, riguarda le presunte omissioni da parte di Canfora. Il grecista in pratica mancherebbe di ricordare che dalle migrazioni verso l’Europa sono venute anche distruzioni e sciagure. Indubbiamente Pignataro ha ragione nel riportare al dato storico, se si pensa alle migrazioni che condussero le popolazioni germaniche all’interno del territorio romano, all’espansione islamica nel Medioevo occidentale, a quella mongola, in tutti questi casi non si può non osservare i profondi cambiamenti che questi spostamenti di popoli e merci hanno portato con sé. Allo stesso tempo, non si può dimenticare che proprio l’Europa contemporanea, con la sua contraddittoria ricchezza culturale, trae origine da quegli stravolgimenti: non esisterebbe l’Europa dei popoli a cui aspirano le destre senza l’insediamento di quei popoli in Europa, non sarebbero arrivate in Europa idee e scoperte prodigiose senza quei movimenti, lo stesso popolamento dell’Europa, a quanto pare, non sarebbe quello che è oggi senza le ondate migratorie delle popolazioni indoeuropee e , decine di migliaia  di anni  prima, degli homo sapiens.
In ultima analisi, se pensare che le ondate migratorie siano gestibili senza alcun tipo di problema è semplificatorio, non si può non ricordare come⁠ il Mediterraneo abbia tratto forma da scambi e movimenti il più delle volte pacifici ⁠(Horden and Purcell 2000) e come la stessa democrazia greca, fiore all’occhiello di chi sostiene la superiorità occidentale, non sia spiegabile senza le influenze straniere nella cultura greca. ⁠(Bernal 1987)


Bernal, Martin. 1987. “Black Athena. The Afroasiatic Root of Classical Civilization. Vol I.”
Horden, Peregrine. and Nicholas. Purcell. 2000. The Corrupting Sea : A Study of Mediterranean History. Blackwell.

giovedì 31 ottobre 2019

Iliade, Omero



Leggere l’Iliade nel 2019 non è affatto cosa semplice: intanto perché quasi sempre si tratta, inconsapevolmente, di una rilettura, dato che in un modo o in un altro per tutta la tua vita, sin dalla scuola primaria, hai avuto a che fare con il testo omerico, sminuzzato e parcellizzato in letture antologiche più o meno fuorvianti; in secondo luogo perché sul testo originario si sono stratificate decine di interpretazioni e riletture diverse nel corso dei quasi tre millenni di storia che ci separano dal momento in cui Omero o chi per lui ha deciso di mettere assieme quelli che probabilmente erano dei canti distinti recitati nelle pubbliche piazze o nelle corti e farne un testo, orale, unitario. Sia come sia, ancora oggi, dopo tutto questo tempo, l’Iliade rimane un testo magistrale e sorprendente. Sorprendente perché stupisce vedere la finezza narratologica con cui l’opera è stata costruita: il protagonista, Achille, dopo la rapida furia che lo coglie a partire dai primi versi del componimento, sparisce ben presto. Ma la sua presenza è ben viva nelle speranze e nelle aspettative degli altri personaggi e, soprattutto, del lettore/ascoltatore. Non va dimenticato poi come il destinatario dell’opera nei tempi antichi sapesse bene che Achille era predestinato a compiere il suo destino - uccidere Ettore e morire egli stesso - il lettore lo sa già quando inizia a leggere l’opera. Eppure l’importante, ieri come oggi, non è solo che la trama trovi il suo sviluppo in maniera avvincente, ma con quali significati l’autore ci conduce all’esito ultimo della vicenda. Anche perché la stratificazione successiva porta spesso il lettore comune a pensare che Achille muoia nell’Iliade: no, Achille sa di dover morire, ma non è qui che il suo destino si compie. Eppure è già tutto qui, perché Achille, e gli altri personaggi che ruotano intorno a lui, sa come si concluderà la sua vicenda terrena. Il punto è che non è la morte che conta nella vicenda di Achille, ma la continua scoperta della propria umanità nel momento in cui è ancora più evidente la propria eccezionalità. Achille è l’eroe più potente della sua generazione, eppure non può nulla di fronte allo strapotere politico di Agamennone; Achille è l’eroe più temuto in guerra, eppure non può far nulla di fronte alla morte dell’amato Patroclo; Achille è la furia vindice che si scaglia in battaglia, ma è la volontà divina a realizzarne l’opera, mentre lui è costretto ad arrestarsi persino di fronte alle acque di una piccola divinità fluviale come lo Scamandro; infine, Achille ha fatto scempio del corpo dell’odiato Ettore, ma non può non riconoscere nella sofferenza di Priamo di fronte alla morte del figlio, la sofferenza di Peleo che rimarrà anch’egli anziano debole senza un protettore nella figura del condottiero mirmidone.
È la scoperta dell’umanità che affratella il vero tema della vicenda di Achille, che conduce per mano alla xenia nobile e disperata verso Priamo, che permette ad Achille di riverire il padre di Ettore come se fosse suo padre, che lo induce infine a promettere tanti giorni di tregua quanti ne occorreranno per rendere i giusti funerali alll’uomo che fino a quel momento più ha odiato.
Intorno a questa vicenda ruotano le aristie degli altri eroi, greci o troiani che siano: tutti però alle prese con l’ineluttabilità della morte e la limitatezza del loro essere eroi. Nessuno di questi eroi, da Aiace ad Idomeneo, da Nestore ad Ulisse, da Diomede a Menelao, passando per Ettore, Enea e Sarpedonte, è invincibile; tutti sono costretti a prendere atto spesso e volentieri della finitezza delle loro azioni e delle loro menti: persino il fortissimo Aiace o il pio Ettore saranno costretti ad arretrare, a cedere, a ritirarsi, a provare paura e orrore per la violenza della guerra.
In fin dei conti, il più rinomato canto di guerra risulta essere il più compiuto manifesto dell’umanità che si scopre uguale nella morte e nella finitezza della vita.

lunedì 28 ottobre 2019

Sulla disfatta del M5S e il tradimento degli italiani



Ho letto da qualche parte che il M5S sarebbe stato punito per il suo tradimento. Tralasciando il fatto che, per quanto mi riguarda, il M5S non era da votare prima e non sarebbe da votare ora, tradimento di chi e di cosa? M5S, prima delle politiche, si era presentato come avversario e contendente alla Lega, non come suo alleato, il primo governo Conte è nato dopo dall'esigenza di trovare risposta parlamentare agli esiti delle elezioni, elezioni che avevano visto M5S primo partito, PD secondo ma in forte calo e Lega terzo ma in forte ascesa. Alla caduta del primo governo Conte per volontà di Salvini, legittimamente il M5S ha cercato in Parlamento una nuova maggioranza comparabile numericamente e nell'esigenza di rappresentatività del voto delle politiche Insomma, nessun tradimento né letterale né simbolico.

Ma c'è un punto in più: la categoria del tradimento è una categoria politica individuale, non collettiva. Quando io uso la categoria del tradimento sto individualizzando il mio rapporto con la politica e con i partiti. Il M5S non ha tradito i suoi elettori come gruppo sociale, ma molti di loro si sono sentiti traditi come singoli individui. Che è la dimostrazione di come nell'interpretare ciò che avviene intorno a noi spesso non sappiamo fare altro che applicare la nostra esperienza pratica e pensare che sia valida per tutti: così ogni volta che un partito compie delle scelte politiche non sta prendendo delle decisioni che, pur non essendo direttamente rivolte a me, potrebbero fare gli interessi della collettività; invece il partito, come un amico o un amante infedele, sta decidendo di ferire proprio me, di fare qualcosa proprio contro di me, come se la collettività e lo stato ruotassero esclusivamente intorno a me. L'egotismo (e l'erotismo) divenuto origine e nucleo della decisione politica, la riprova che i discorsi sull'analfabetismo funzionale non sono chiacchiere da bar, l'estremo vulnus della personalizzazione della politica.

venerdì 11 ottobre 2019

Legami di sangue e legami volontaristici nell’interpretazione strutturalista del testo

Di sconosciuto - Jastrow (2006), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1314418



A partire dagli scritti di Levi-Strauss l’interpretazione strutturalista del mito, in particolare nella sua rappresentazione tragica, vede nell’azione dei personaggi e nella reazione dell’ambiente che li circonda l’espressione di un conflitto fra diverse strutture sociali (Lévi-Strauss, 2015)⁠. È perciò ipotizzabile, secondo questa visione, che il cantore o il tragediografo che mettano in scena il mito siano più o meno consapevoli interpreti di tale conflitto, endemico alla società e che in essa sta causando tensione, finanche generando una crisi.

Esempio celebre di questo tipo di interpretazione del mito è la vicenda degli Atridi (Eschilo, 2010)⁠, in particolare nel suo esito ultimo raccontato sia da Omero nell’Odissea che da Eschilo nell’unico ciclo di tragedie che possediamo interamente. Nella famiglia degli Atridi, funestata da uccisioni di consanguinei sin dalle prime sue generazioni, Agamennone, reo di aver sacrificato la figlia vergine Ifigenia per ottenere i favori degli dei alla partenza del suo esercito contro la città di Troia, viene al suo ritorno ucciso a tradimento dalla moglie Clitemnestra e dall’amante di lei e cognato Egisto. L’uxoricidio verrà tuttavia vendicato dal figlio dei due sposi, Oreste, insieme alla sorella Elettra, generando tuttavia un cortocircuito: è più grave la colpa di un figlio che uccide la madre, o quella di una moglie che tradisce e uccide un marito?

Dietro questa domanda, secondo lo strutturalismo, si cela il conflitto fra due modelli di società: quella basata sulla comunanza di sangue, per cui la violenza mossa contro un consanguineo è colpa non perdonabile e da perseguitare in eterno (è ciò che infatti tenteranno di fare le Erinni, divinità ctonie, contro Oreste); dall’altro lato la società fondata sui rapporti instaurati su base volontaria, per cui il tradimento di un patto di fedeltà è colpa ancora più grave del matricidio. In Eschilo quindi, secondo questa interpretazione, assieme allo scoppiare della crisi fra questi due modelli di società, ed è chiaro come nell’Atene dei maratonomachi, com’era stato Eschilo, appena fondata la propria democrazia, il conflitto fra legami di sangue e legami volontaristici dovesse essere questione importante, addirittura fondamentale. Eschilo troverà una soluzione alla questione nell’esito del suo ciclo tragico: il tribunale instituitosi ad Atene per giudicare Oreste non potrà giungere ad una soluzione, ma sarà il voto decisivo della dea Atena a far pendere il piatto della bilancia in favore dell’eroe matricida e di conseguenza del nuovo modello sociale volontaristico contro quello fondato sui legami di sangue. Eschilo così sancisce la nascita di una nuova società e al contempo giustifica lo smantellamento dei legami tribali, ancora molto forti nel V secolo a. C.

Stando a questo modello interpretativo, tuttavia, il conflitto fra società dei legami di sangue e società dei legami volontaristici sopravvive ad Eschilo e alla sua tragedia: a dimostrazione si possono portare due fra le tragedie più famose di Sofocle, l’Edipo re e l’Antigone. Nella prima celeberrima tragedia (Sofocle, 2005)⁠ Edipo, figlio del re di Tebe Laio e di Giocasta, viene dai due ritenuto morto dopo essere stato affidato ad uno dei servitori per essere ucciso; tuttavia Edipo, in realtà affidato dal servitore ai sovrani di Corinto, venuto a conoscenza di un vaticinio che lo vuole futuro uccisore del padre e della madre, fugge dalla città peloponnesiaca per giungere proprio a Tebe. Edipo uccide ad un crocicchio Laio, con cui incorre in una lite senza essere riconosciuto e senza riconoscere il padre; entrato a Tebe dopo aver risolto l’indovinello della Sfinge che affligge la città, Edipo sposa inconsapevole la madre Giocasta, causando in tal modo lo sdegno del dio Apollo e l’insorgere della pestilenza. Ogni indizio conduce verso Edipo, ma solo egli, più lungimirante degli altri cittadini nel superare la Sfinge, non riesce a vedere di quale colpa s’è macchiato; a conclusione della tragedia, di fronte al riconoscimento del proprio essere patricida nonché dell’aver compiuto incesto, Edipo fugge dalla città, dopo essersi tolto la vista. Giocasta stessa, conscia della mostruosità compiutasi nella sua casa, si toglie la vita.
Come si diceva, se si prende per buona l’interpretazione strutturalista del mito, la colpa di Edipo è la colpa di colui che, sebbene in maniera involontaria, si è reso colpevole delle peggiori fra le violazioni dei legami di sangue uccidendo il padre e unendosi carnalmente con la madre nel tentativo volontaristico di creare una propria identità (Colombo, n.d.)⁠. La critica freudiana si è concentrata sulla violazione del tabù dell’incesto, ma secondo il ragionamento che qui si sta seguendo, ancor prima dell’unione con la madre, è già con il patricidio che Edipo diviene inguaribilmente colpevole di fronte alla società e agli dei, e per quanto la volontà sia fermamente convinta della bontà delle sue scelte, l’ineluttabilità del legame fino a quel momento ignorato prevale su ogni altro tipo di logica. D’altronde, l’incesto in questo caso rappresenta plasticamente la soluzione, l’unica possibile, ad un enigma vivente come Eidpo (Lévi-Strauss, 1972)⁠

Che questa sia la linea seguita da Sofocle appare ancor più chiaro leggendo l’Antigone (Sofocle, 1977)⁠. La stratificazione di diverse letture moderniste dell’eroina (Butler, 2003)⁠ impediscono forse oggi una serena interpretazione della tragedia sofoclea: cercando tuttavia di contestualizzare l’opera, si potrà forse ritenere che nello scontro tra Creonte (il cui governo si fonda sulla volontà di superare i mali occorsi alla città di Tebe dalla maledizione che colpisce la stirpe di Cadmo) e Antigone (portatrice delle istanze della famiglia e dei legami di sangue) si riproponga quella crisi, non ancora superata, che già aveva animato l’opera di Eschilo. Proprio per questo Antigone potrà dichiarare di desiderare la sepoltura del fratello Polinice e che non allo stesso modo si sarebbe comportata per una marito o per un figlio:
Infatti mai, né se fossi divenuta madre di figli, né se fosse stato il cadavere di mio marito a corrompersi, io mi sarei assunta questo ufficio contro il volere dei cittadini. E in forza di qual principio lo affermo? Morto il marito, ne avrei avuto un altro; e da un altro uomo avrei avuto un figlio, se quello mi fosse mancato: ma ora che mio padre e mia madre sono in fondo all’Ade, non è mai più possibile che mi nasca un fratello. Eppure, poiché secondo questa legge ti ho particolarmente onorato, è sembrato a Creonte che questa fosse una colpa e che io abbia osato una cosa terribile, fratello mio. E ora mi trascina via, presa così in sua mano, me che non ho avuto talamo, non imeneo, non sorte di nozze, né figli da allevare.(Sofocle, 1977)⁠
In conclusione, la nascita di un nuovo modello di convivenza e di regolamentazione del vivere insieme non può non suscitare conflitto nel corpo sociale; di questo conflitto si fanno portavoce più o meno consapevoli gli intellettuali, gli scrittori, i costruttori del mito. Nel caso affrontato, la nascita di una società fondata su base volontaristica come la democrazia ateniese mette in discussione la preminenza dei legami di sangue alla base delle strutture familiari e tribali, e la crisi che ne risulta trova trasposizione artistica e ideologica nel ciclo di tragedie dell’Orestea di Eschilo e, dall’altra prospettiva, nelle tragedie tebane di Sofocle. Né si deve pensare che un simile meccanismo di risposta ad una crisi sia esclusiva della tragedia antica: si guardi all’Amleto o, ancora di più, al Romeo e Giulietta di Shakespeare che, fra le altre cose, ripropongono il conflitto fra legami di sangue e legami volontaristici in un’epoca in cui la concezione della famiglia sta iniziando a mutare radicalmente, nel passaggio dalla famiglia patriarcale allargata medievale alla famiglia nucleare di età moderna.



Butler, J. (2003). La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte. Bollati Boringhieri.

Colombo, R. (n.d.). Edipo: l’illusione dell’Identità. Retrieved from http://www.filosofia.unimi.it/itinera/mat/saggi/?ssectitle=Saggi&authorid=colombor&docid=edipo&format=html

Eschilo. (2010). Orestea (Agamennone – Coefore – Eumenidi) (E. Savino, Ed.). Garzanti.

Lévi-Strauss. (1972). Elogio dell’antropologia. In Razza e Storia e altri studi di antropologia. Einaudi.

Lévi-Strauss, C. (2015). Antropologia strutturale. Il Saggiatore.

Sofocle. (1977). Antigone (R. Cantarella, Ed.). Milano: Mondadori.

Sofocle. (2005). Edipo re (L. Correale, Ed.). Milano: Feltrinelli.

domenica 8 settembre 2019

Guida galattica per autostoppisti, Douglas Adams

Immagine: Mondadori
Guida galattica per autostoppisti è un romanzo del 1979 scritto da Douglas Adams. Lo si potrebbe definire un romanzo di fantascienza umoristica, ma forse più correttamente si potrebbe definire un romanzo di fantascienza postmoderno. A più riprese l'autore fa sfoggio della propria cultura matematica e scientifica, adoperandola ironicamente per affrontare le improbabili avventure di Arthur, Ford, Zaphod e Trillian, partendo dalla Terra e girovagando in giro per la galassia; scopriamo così che la Terra non è altro che un pianeta artificiale, costruito dagli abitanti di Magrathea per compiacere una potentissima razza di creature intergalattiche, i topi, che nel pianeta avevano istallato un computer in grado di trovare la domanda alla risposta fondamentale: 42.
Insomma, tra un colpo di scena e l'altro, tutti, letteralmente, improbabilissimi, giungiamo alla conclusione che tutto quello che conosciamo è sistematicamente diverso da quello che immaginiamo, e che solo una guida sterminata e in continua evoluzione come la Guida galattica per autostoppisti può fornire un utile strumento per orientarsi in una realtà labirintica e imperscrutabilmente intrecciata.


venerdì 30 agosto 2019

Due parole per quelli che credono ancora a Babbo Natale



Il M5S non è postideologico, semplicemente perché il postideologismo non esiste. Non esiste sul piano logico e non esiste sul piano politico: sul piano logico perché ogni insieme di credenze è un’ideologia, quindi anche le idee condivise da chi si ritiene postideologico sono, di per sé, parte di un’ideologia; sul piano politico perché la divisione tra progressisti e conservatori, ovvero destra e sinistra, non è roba nata ieri, non è qualcosa che dipende dalla contingenza della fase politica attuale, è qualcosa di connaturato alla costruzione delle società da almeno 2500 anni, insomma da quando abbiamo iniziato a pensare che non esistono solo i legami di sangue, da quando abbiamo iniziato a pensare che le condizioni date non sono per forza le uniche, da quando abbiamo iniziato a pensare che esistano le persone, da quando abbiamo ipotizzato l’esistenza della scienza al di là e oltre la religione, da quando abbiamo concepito i diritti umani, da quando abbiamo messo in discussione l’esistenza delle razze. Insomma, destra e sinistra, nel senso proprio del termine, sono delle categorie che non si eliminano così facilmente dalla tradizione politica occidentale, e non basta dire di non essere di destra o di sinistra per poi non esserlo davvero. C’è di più: tendenzialmente chi dice di essere postideologico lo fa perché sa che le forme della sua cultura politica altrimenti sarebbero catalogate con ben altre categorie, per esempio quelle della destra sociale, molto meno appetibili.

Qui veniamo al punto: gente come Di Maio o Di Battista non è postideologica, è semplicemente di destra. Magari non è la destra salviniana, l’ho detto prima, loro sono ascrivibili alla destra sociale semmai, ma comunque sono più vicini alle posizioni della Lega che a quelle del centro-sinistra.
Cosa intendo per destra sociale? Quello che in genere intendono gli storici, ovvero le posizioni di esponenti politici che, facendo proprie alcune istanze pauperistiche (e talvolta paternalistiche) del socialismo, subordinano le stesse istanze all’esistenza di condizioni di tipo razziale, etnico, meno spesso religioso o culturale. In soldoni, politiche assistenzialiste sotto l’egida del politico buon padre di famiglia, ma solo per alcune categorie sociali (prima gli italiani!) o legate a principi identitari (il reddito di cittadinanza, ovvero un’indennità legata alla disoccupazione e condizionata dall’essere cittadino italiano e dall’essere disposti ad accettare un lavoro fornito dallo Stato) anziché, per esempio, un reddito riconosciuto ad ogni individuo in quanto persona inserita nella comunità a prenscindere dalla cittadinanza.

Ora, l’essere di destra non è mica una colpa, ognuno esprime le posizioni politiche che sente proprie, del resto è anche la storia familiare a condurre a certe scelte politiche, e questo accade anche nel caso dei sopracitati Di Maio e Di Battista, i cui genitori sono stati esponenti di secondo rango del MSI. Insomma, nulla di strano o di male. Basta dirselo e dirlo agli altri.

Così almeno si spiega anche perché per Di Maio e Di Battista sia preferibile stare con Salvini o regalargli l’Italia con il voto anziché provare un governo con il PD.

Semplicemente Salvini è quello che loro vorrebbero essere e non sono riusciti ad essere.

giovedì 22 agosto 2019

Ma quindi, chi ha vinto davvero il dibattito tra Salvini e Conte, o della retorica a grado zero di Salvini

Se lo scontro tra Salvini e Conte in Senato fosse stata una gara di dibattito, chi avrebbe vinto? Da un lato Conte ha sostenuto una tesi ben definita (la crisi oggi è inutile e irresponsabile e colpa di un uomo che mira solo ai propri interessi personali) argomentando con attacchi ben definiti e circostanziati (Salvini ha chiaramente dichiarato al presidente del consiglio di voler capitalizzare il consenso nei sondaggi), su ogni piano: per Conte Salvini avrebbe aperto la crisi anteponendo interessi personali e di partito a quelli del paese; Salvini avrebbe più volte minato la credibilità del governo e avrebbero denotato scarsa cultura istituzionale (addirittura per dimostrare queste sue argomentazioni Conte ha addotto diversi esempi: le continue dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa e social durante le trattative per evitare le sanzioni dell'UE, le frequenti intromissioni nel lavoro degli altri ministri, la lunga attesa prima di fornire il nome dei delegati della Lega per la stesura della manovra finanziaria o il convocare al ministero degli interni le parti sociali, violando i protocolli che vedono quella una prerogativa di altri ministri e del presidente del consiglio). Salvini avrebbe per conte un atteggiamento autoritario (il riferimento è alla minaccia del ricorso alla piazza se non si dovesse andare alle elezioni e la richiesta di pieni poteri) e di mancare di cultura costituzionale (Salvini, per Conte, ignora la struttura di una repubblica parlamentare, la divisione dei poteri e la necessità dei contrappesi per evitare di sfociare in uno stato autoritario). Infine Conte ha rimproverato a Salvini l'uso dei simboli religiosi in campagna elettorale, denotando scarso rispetto per la laicità dello Stato e un uso irresponsabile della religione.
Come ha risposto Salvini?
Salvini in realtà non ha risposto a tutto: certo, aveva meno tempo, tuttavia alcune argomentazioni forti di Conte sono rimaste inconfutate. In primis, Salvini ha dichiarato che non si pente di niente e che rifarebbe tutto; poi, e queste sarebbero le argomentazioni forti del discorso di Salvini, il governo sarebbe caduto non perché egli vorrebbe concretizzare il suo consenso (anche se il ministro non ha smentito di aver dichiarato apertamente di voler andare al voto visti i sondaggi che lo darebbero vittorioso), ma per i troppi no alle riforme e per un sospetto accordo segreto tra PD e M5S. Riguardo all'accusa sul rischio di aumento dell'IVA, Salvini, semplicemente, dichiara di non volerne sentire parlare.
In merito alle altre argomentazioni portate da Conte, le risposte di Salvini variano dall'attacco personale al presidente del consiglio (che, attenzione, se non supportato da dati non è una confutazione valida, come l'addurre sospetti - il presunto accordo M5S/PD), dicendo che sarebbe stato Conte a cercare sostegno internazionale contro Salvini, che la convocazione delle parti sociali agli interni sarebbe avvenuta per l'inoperatività degli altri componenti del governo e che, in merito all'uso spregiudicato della religione, gli italiani votano con la testa e con il cuore, non con i simboli religiosi in mano. Si segnala poi come, in merito all'accusa di autoritarismo, Salvini non faccia nulla per confutarla, replicando semplicemente che per simili attacchi basti "il Saviano di turno". Salvini poi non ha risposto nulla sui presunti fondi neri russi.

In realtà il grosso dell'intervento di Salvini ha avuto altre caratteristiche: si tratta di una serie di proposizioni assertive, che nulla hanno a che fare con la tesi sostenuta da Conte, e che evidentemente avevano un altro target, si riferivano ad altro interlocutore. Si tratta di frasi che, così come sono state esposte, sono autodimostranti, dei postulati, diremmo: nell'ottica di Salvini e del suo elettorato sono vere in quanto tali, non hanno bisogno di dimostrazione. (Nello schema del dibattito si trovano separate rispetto al tronco principale; in generale, gli interventi di Salvini sono quelli con i caratteri in rosso. I rami in verde sono le argomentazioni addotte a sostegno di quanto detto nel ramo gerarchicamente superiori, mentre i rami in rosso sono le confutazioni).



A questo punto ci si dovrebbe chiedere chi abbia vinto il dibattito. In termini parlamentari, chiaramente Conte. Salvini non è stato in grado di confutare tutti i suoi argomenti, e lì dove ne ha addotti di propri, essi erano fondati su sospetti o su manipolazioni di quanto realmente affermato dal primo ministro.
Il problema è che Salvini, al di là di tutto, probabilmente non ha perso il dibattito, bensì non ha proprio giocato quella partita.

In realtà Salvini ha trattato questo scontro come l'occasione ideale per un suo comizio a reti unificate, sfruttando la sua capacità dialettica. Occorre chiedersi quali messaggi rimarranno maggiormente impressi nella mente degli spettatori nel corso del tempo, quelli espressi da Conte o quelli di Salvini?

Nella seconda parte del suo discorso, infatti, Conte ha espresso un possibile prossimo programma di governo, un po' come ha fatto Salvini nella gran parte del suo intervento.
Proviamo a confrontare i passaggi sulle politiche economiche proposte, partendo dal discorso di Conte:
La politica deve adoperarsi per elaborare un grande piano che attribuisca all'Italia una posizione di leadership nel campo dei nuovi modelli economici ecosostenibili. Guardate che partiamo avvantaggiati: in Europa già ci distinguiamo per l'utilizzo delle energie rinnovabili; dobbiamo puntare all'utilizzo delle tecniche scientifiche più innovative e sofisticate per consolidare questo primato. Abbiamo già progetti all'avanguardia - pensate - nello sfruttamento dell'energia derivante dai moti ondosi. Possiamo sfruttare nuove tecniche di produzione in base alla cosiddetta biomimesi.

L'obiettivo da perseguire deve essere un'efficace transizione ecologica in modo da pervenire a una articolata politica industriale che, senza scadere per carità nel dirigismo economico, possa gradualmente orientare l'intero sistema produttivo verso un'economia circolare che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto.

Lo sviluppo equo e sostenibile deve spingerci a integrare in modo sistematico nell'azione di Governo un nuovo modello di crescita, non più economicistico. Dobbiamo incentivare le prassi delle imprese socialmente responsabili, che permetteranno di rendere il nostro tessuto produttivo sempre più competitivo anche nel mercato globale. Confido che la cabina di regia 'Benessere Italia', che ho da poco istituita, possa tornare ben utile a questi scopi, anche in futuro. È necessario promuovere le infinite vie del turismo, valorizzando l'incredibile ricchezza del nostro patrimonio naturale, storico e artistico. Questa valorizzazione deve passare anche attraverso il recupero delle nostre più antiche identità culturali, delle nostre tradizioni locali, della bellezza dei nostri borghi, dei piccoli Comuni. E mi piace ricordare che, con recentissima delibera, abbiamo stabilito che il prossimo 26 ottobre sia la giornata nazionale dedicata alle tradizioni popolari e folkloristiche.

Occorre perseguire una politica economica e sociale espansiva, senza mettere a rischio l'equilibrio di finanza pubblica e con esso il risparmio dei cittadini. Più in generale, la politica deve reagire alle sfide del mondo globale rilanciando un ventaglio di proposte e di soluzioni che più volte nei miei interventi ho riassunto sotto la formula "nuovo umanesimo". Non sto qui a riassumerle, ma è stata questa la stella polare che mi ha guidato in questi mesi di Governo.
Ora vediamo cosa dice Salvini:
La Lega è pronta a sostenere una manovra economica se ha almeno 50 miliardi a bilancio per ridurre le tasse a famiglie, lavoratori e imprenditori italiani, almeno, stando sotto a quello che farà la Francia”.
Il discorso di Conte ha una leggibilità bassa, e quindi è difficilmente comprensibile da chi non raggiunge livelli di istruzione alti: secondo l'indice Gulpease, che va da 0 (scarsissima leggibilità) a 100 (piena leggibilità) ottiene un risultato di 41. Salvini qui non realizza un capolavoro, ma nella sua semplicità e vaghezza è comunque più comprensibile con un risultato di 56. Insomma, Conte avrà anche detto cose più concrete e interessanti, ma la gente comune ha capito (forse) Salvini e non lui.

Anche dove si parla di giustizia Salvini risulta lievemente più chiaro:
(Conte, 46 nell'indice Gulpease) Lo scioglimento anticipato delle Camere arresterebbe anche le riforme del codice di procedura civile e di quello di procedura penale, oltre che del CSM, pensate soprattutto per accelerare i tempi della giustizia e rendere così più competitivo il nostro Paese anche agli occhi degli investitori stranieri.
(Salvini, 51 nell'indice Gulpease)  racconto l’Italia che abbiamo in testa e nel cuore, che non cresce dello zero vergola, che ha una giustizia quella vera, dove ci sono 60 milioni di presunti innocenti fino a prova contraria
Riguardo all'uso dei simboli religiosi, nuovamente, Salvini, pur dicendo nulla, risulta più chiaro:
(Conte, 43 nell'indice Gulpease) Questa in verità - lo ammetto - non te l'ho mai riferita, anche perché non riguarda specificamente i nostri compiti di Governo: chi ha compiti di responsabilità dovrebbe evitare, durante i comizi, di accostare agli slogan politici i simboli religiosi. Matteo, nella mia valutazione questi comportamenti non hanno nulla a che vedere con il principio di libertà di coscienza religiosa, piuttosto sono episodi di incoscienza religiosa, che rischiano di offendere il sentimento dei credenti e nello stesso tempo, vedi, di oscurare il principio di laicità, tratto fondamentale dello Stato moderno.
(Salvini, 61 nell'indice Gulpease)  Gli italiani non votano in base a un rosario, ma con la testa e con il cuore. La protezione del cuore immacolato di Maria per l’Italia la chiedo finché campo, non me ne vergogno, anzi sono ultimo e umile testimone.
Insomma, attenzione a pensare che Salvini sia stato nettamente sconfitto e che la sua figura verrà incrinata da questo dibattito, come in tanti sui social hanno pensato. Pur in difficoltà, assertivo, monotono nella riproposizione di temi che il leader della Lega propina da mesi in ogni occasione, il ministro degli interni ha la capacità di porre i suoi (non)contenuti ad un livello linguistico che si potrebbe definire grado zero. La maggior parte dei suoi slogan sono sintetizzabili e vengono riproposti sotto forma di frasi minime, addirittura nominali. La forma verbale più adoperata è il verbo essere, il più comprensibile da chiunque, specie se all'indicativo, il modo di ciò che è certo, reale, inconfutabile. Insomma, la retorica a grado zero di Salvini è opportunamente studiata non per vincere i confronti, ma per far breccia su chi i confronti non ha proprio gli strumenti per seguirli.
Ritornando alla domanda di partenza, quella su chi ha vinto il dibattito, forse la risposta più corretta è che un dibattito non c'è davvero stato.

mercoledì 14 agosto 2019

La politica italiana ad agosto

Immagine: Makkox per La7


Nella crisi politica d’agosto una cosa è chiara: la classe dirigente italiana brilla solo per la propria mediocrità. Qualcuno l’ha già scritto, ascoltare gli interventi in senato di giorno 13 avrebbe fatto rabbrividire chi di eloquio e di politica ne capisce qualcosa per la sciatteria nella forma e l’approssimazione nei contenuti.
Ugualmente c’è altro da dire: i politici italiani si stanno muovendo in ordine sparso, e non per fare il bene di uno Stato o di una nazione, ma per seguire le proprie idee vaghe e confuse, ad andar bene, o per il proprio tornaconto, nella maggiorparte dei casi. Da Salvini a Renzi, passando per Berlusconi, Zingaretti e Di Maio, emerge come nessuno sia in grado o sappia ragionare su una politica che abbia una prospettiva che vada oltre al consenso elettorale da conseguire o perdere nell’arco di un anno. Insomma, nel nulla cosmico che sproloquia attraverso il chiacchiericcio delle pagine social dei politici italiani, ci si chiede se i partiti italiani siano lo specchio della società, o se sia la società che rischia di essere plasmata da questa classe dirigente.

domenica 11 agosto 2019

Il conformista, Alberto Moravia

Immagine: Feltrielli

Il conformista di Alberto Moravia racconta la storia di Marcello Clerici, narrandola dalla sua infanzia fino alla sua morte. Marcello nasce in una ricca famiglia borghese e cresce continuamente a contatto con il sentimento della morte e della sofferenza, nonché osservando i comportamenti sempre più folli del padre. Svolta della fanciullezza di Marcello sarà l’incontro con Lino, prete spretato che, finito a fare l’autista, conduce il ragazzino ancora innocente a casa sua e tenta di abusarne, ricevendo un colpo di rivoltella dal protagonista, adescato proprio con la promessa dell’arma come regalo.
Nelle pagine successive conosciamo Marcello adulto, che ha fatto di tutto per lasciare dietro di sé la propria anormalità, finendo per diventare convinto sostenitore del regime fascista nel tentativo di divenire normale, ovvero di adeguarsi a quello che è lo stereotipo di normalità nella società in cui vive. Scopriamo addirittura che Marcello è entrato nella polizia segreta fascista, tanto da essere coinvolto nell’omicidio di uno dei suoi professori universitari, il Quadri. A segnare il personaggio, Marcello conduce in porto la missione assegnatagli adoperando come copertura il proprio viaggio di nozze a Parigi, città in cui si è rifugiato l’accademico per sfuggire alla persecuzione fascista e da cui organizza azioni di resistenza. Durante il viaggio di nozze, però Marcello scopre sempre di più l’inutilità della violenza e della brutalità che ha adottato come stile di vita, e soprattutto la folle accettazione della bruttezza morale che il regime porta con sé. Ugualmente Marcello non riesce a scappare dal suo bisogno di normalità e, pur tra i sospetti della neosposa, porta a termine la missione.
Arriva l’estate del 1943, Marcello lucidamente capisce come la sua vita, irrimediabilmente intrecciata con il regime, finisca con la caduta di Mussolini. Nondimeno con la moglie vuole assistere ai festeggiamenti per la deposizione del dittatore, e nell’euforia generale finisce per rintanarsi in un parco di Roma per un impetuoso rapporto con la donna della sua vita. Qui però Marcello incontra incredibilmente Lino, che credeva morto da anni dopo il tentativo di abuso: l’uomo era sopravvissuto e, dopo alterne vicende, era finito a fare il custode del parco. La rivelazione costringe Marcello ad una riflessione amara: tutta la sua vita è stata inutile, lui che aveva vissuto per nascondere a se stesso e agli altri il tentativo di abuso e l’omicidio che pensava di aver commesso, scopre ora di non aver ucciso e, in più, è costretto a riconoscere che, nel giorno del tentativo di abuso da parte di Lino, la sua innocenza era già perduta da tempo.
Marcello organizza la fuga della sua famiglia da Roma, ma sulla strada per il nascondiglio nell’entroterra umbro viene colpito da un bombardamento alleato, senza poter salvare almeno quanto di buono era riuscito a costruire nella sua vita e spirando inconsapevole della già avvenuta morte dei cari.
Il conformista è un romanzo che, pur tra notevoli meriti, lascia l’amaro in bocca: certo Moravia riesce a descrivere nettamente il sentimento di tacita accettazione dei fatti che ha caratterizzato il ventennio fascista, l’adeguamento ad un mito collettivo tale da obnubilare il ragionamento individuale e le conquiste del diritto. Ma tutto lo svolgimento della trama si fonda su un colpo di scena finale che, mai anche solo prefigurato nel racconto, risulta tanto imprevedibile quanto gratuito. Non c’è motivo per cui Lino debba essere sopravvissuto. Inoltre, quello del prete spretato e pedofilo, appare uno stereotipo non particolarmente significativo nella resa dell’atmosfera e della società dell’epoca. Rimane invece, fra i personaggi più forti, il padre di Marcello, folle, dagli occhi spiritati, talmente immerso nella sua patologia da essere, indiscutibilmente, il migliore fra i fascisti del racconto, almeno secondo quello che sarebbe il canone fascista.

domenica 14 luglio 2019

La rivendicazione di Antigone, Judith Butler



Il volume La rivendicazione di Antigone, di Judith Butler, è un'attenta lettura del personaggio che dà il titolo alla tragedia omonima di Sofocle. Butler, dichiaratamente non è una grecista, per cui la sua interpretazione, più che filologica, è attenta agli aspetti filosofici, psicanalitici, antropologici e sociologici.

Infatti la disamina che parte dal testo sofocleo mette in luce come l'interpretazione del personaggio di Antigone data da Hegel e da Lacan abbia nel corso dei secoli indirizzato l'analisi dell'eroina di Sofocle in una direzione prevalente, ovvero nella contrapposizione tra società parentale e società organizzata da strutture più complesse, a prevalenza statale. Il problema dell'interpretazione di Hegel è che essa presuppone Antigone come eroina della parentela, quando invece il rapporto parentale insito nella figura dell'eroina è ambiguo e ambivalente: il padre è al contempo fratello, la madre al contempo nonna, lo stesso fratello morto può essere contemporaneamente Polinice, Eteocle o addirittura Edipo.
Anche l'interpretazione di Lacan di fatto presuppone Hegel; inoltre, quando, con Levi Strauss, Lacan interpreta Antigone come la non viva al confine con il simbolico portatrice delle pulsioni masochiste e come la trasgressione insita nella regola e che la regola invera, di fatto stabilisce che la regola, ovvero la famiglia mononucleare che escluda l'incesto, cioè la possibilità di tutte le varianti a questa famiglia, è l'unica socialmente corretta. Peccato che lo stesso Levi Strauss abbia dovuto ammettere che il tabù dell'incesto non abbia fondamento biologico, ma sociale. 
Insomma, la dicotomia classica tra parentela e Stato e tra famiglia mononucleare e le sue varianti non trova, secondo l'autrice, un fondamento nel personaggio di Antigone. Rimane il fatto che l'eroina è il simbolo della trasgressione alla regola in nome di regole non scritte ma ugualmente insite nel patrimonio collettivo, che Creonte, portatore dell'autorità sociale conferitagli dalle gerarchie, non può scavalcare.

Butler, J. (2003). La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte. Bollati Boringhieri.

venerdì 21 giugno 2019

Debate: un caso di studio

ABSTRACT

Il Debate è una pratica didattica ampiamente adoperata nelle scuole anglosassoni e non solo, tanto da essere spesso rappresentata nella cultura popolare, per esempio nelle serie televisive e nei film a sfondo scolastico che inondano le televisioni italiane dal dopoguerra ad oggi. È una metodologia trasversale e consiste in un confronto nel quale due squadre (composte ciascuna di due o più studenti) sostengono e controbattono un’affermazione o un argomento dato dall’insegnante, ponendosi in un campo (pro) o nell’altro (contro). L’adozione della pratica didattica del Debate è altamente consigliabile.
Essa ha contribuito allo sviluppo di competenze di cittadinanza, nonché allo sviluppo di diverse abilità, sia di ricerca che comunicative. Da non sottovalutare l’effetto inclusivo del Debate, che costringe a prendere atto dell’esistenza di ragioni diverse dalle proprie e a confrontarsi in maniera argomentata e civile con i diversi interlocutori.

La lezione di anatomia, Philip Roth



Uscito nel 1983, Le lezione di anatomia di Philip Roth conclude la trilogia che vede come protagonista l'ebreo americano Nathan Zuckerman. In questo romanzo Zuckerman, dopo aver lottato per affermarsi come scrittore, si trova a perdere a poco a poco contatto con la propria arte e con gli stessi scopi della propria precedente vita. A scatenare le danze della trama, l'improvviso malessere che ha colpito il protagonista, un dolore inspiegabile che lo colpisce alla nuca e che da lì si espande verso il cranio, le spalle, la schiena, impedendone i movimenti e, soprattutto, la concentrazione. A Zuckerman non restano che due cose: le droghe per ingannare il dolore, il sesso per ingannare la noia.
A questo punto il protagonista, novello inetto postmoderno, è costretto a fare i conti con il passato che, ad un'interpretazione psicologistica, parrebbe aver originato il dolore a cui è soggetto: i matrimoni falliti, la sofferenza inferta ai propri familiari dileggiando le tradizioni ebraiche nelle proprie opere. Così Nathan scopre di non voler fare più lo scrittore, di non sapere o volere più vivere la propria vita. Ritorna a Chicago per iscriversi, lui ormai uomo maturo, alla facoltà di medicina. Ma il vero contatto con il mondo della medicina arriverà in altro modo: strafatto di antidolorifici, Zuckerman darà di matto accompagnando al cimitero l'anziano padre di un suo amico, e così, ricoverato, inizierà ad aggirarsi per l'ospedale accompagnando i medici, quelli veri, tra una visita e l'altra. Anche quella della medicina sarà un'illusione, una finzione, l'ultima per Zuckerman.

Romanzo di una scrittura piacevole, volutamente sguaiata e al contempo letteraria, brillante, citazionista, ironica, La lezione di anatomia è fra le opere di Roth meglio accolte dalla critica. L'autore, attraverso il suo protagonista, si confronta con il panorama letterario americano e soprattutto con le contraddizioni della cultura ebraica americana, integrata nel sistema economico ma rinchiusa nelle sue tradizioni religiose. È con questa chiusura che Zuckerman si scontra ma, novello Edipo, nel momento in cui seppellisce il padre e la cultura che rappresenta, non può non subirne la maledizione, l'onta, nonché il rimpianto.
Si diceva che Zuckerman è anche un novello inetto, autoironico, certamente: potenzialmente ha tutto, soldi, successo, fama, donne, ma non sa cosa farsene. Non per scrupolo morale: semplicemente ha perso la capacità di vivere la sua vita. Il suo continuo ricercare una cura al suo male, ricerca sempre fallimentare, e la sua fuga verso una nuova vita da medico non sono altro che questo, l'espressione di un uomo in fuga dalla vita che ha voluto e che ora scopre di non saper vivere. Tuttavia, se per l'inetto della tradizione la scoperta della propria incapacità aveva un risvolto tragico, Zuckerman è semmai, come si diceva, personaggio autoironico, se vogliamo parodistico, parodia dell'inetto, parodia dell'ebreo, parodia dello scrittore, parodia dell'esteta.
In Zuckerman quindi sembra quasi trovare il suo culmine un genere, quello del romanzo dell'inettitudine, e la storia di un tipo di personaggio. Quasi fuori tempo massimo, l'America e l'Occidente degli anni 80 sono terre per uomini di successo, o per reietti che destino scandalo, Un uomo di successo dipendente dagli antidolorifici, pur rappresentando in pieno quella temperie culturale, non coincide con quello che quegli anni vogliono raccontare di se stessi. Una distanza dalla propria epoca, troppo tardi per parlare di inetti e troppo presto per dire chiaramente quanto alienante fosse la società che Roth osservava, utile a capire perché fra le opere dell'autore questa sia una di quelle che riscosse meno successo di pubblico. Immeritatamente.

sabato 25 maggio 2019

Il caso Dell'Aria, o della distopia

Foto: Il Tempo
Guardate bene la foto: giorno 23 maggio, in prefettura, a Palermo, i ministri dell'istruzione e degli interni, Bussetti, e Salvini, incontrano la professoressa Dell'Aria, per giungere, infine, all'agognato chiarimento.
Chiarimento su cosa?
Ricotruiamo i fatti. Il caso, politicamente scottante, nasce nelle settimane precedenti da un tweet dell'attivista di destra Claudio Perconte, autore per Primato Nazionale di CasaPound e Voxnews, insomma, testate di una certa crediblità (modalità sarcasmo, on); il tweet viene raccolto immediatamente dalla sottosegretaria alla cultura Borgonzoni (quella che, per sua stessa dichiarazione, non legge libri da 3 anni).

Si sostiene quindi che la professoressa Dell'Aria abbia, in classe, paragonato Salvini e il governo attuale al reich di Hitler, obbligando gli alunni a seguire la sua tesi. Dalla denuncia a mezzo social sono scaturite l'ispezione, pare addirittura della Digos, e la sospensione della docente con decurtazione dello stipendio per 14 giorni.

Peccato che non ci sia nulla di vero.

Intanto la docente non ha mai fatto quel paragone, come accertato dall'ispezione. In secondo luogo, le slide inquadrate dalla foto sono state realizzate da alcuni studenti, sì, ma in autonomia, come libera espressione del loro sapere e sentire a seguito di un preciso compito: riflessi, in occasione della giornata della memoria, sul valore del ricordo dei fatti accaduti, in particolare della Shoah, oggi.

È montata la polemica politica su un fatto mai accaduto: la sottosegretaria, quella che non legge libri e si occupa di cultura, ha proposto la radiazione della docente; il ministro Bussetti, quello dell'istruzione, in teoria colui che avrebbe dovuto gestire il tutto, tace.

Nel frattempo è arrivata la sospensione, per, attenzione, omessa vigilanza; in pratica è chiaro a tutti che la professoressa non ha fatto quel paragone, ma avrebbe dovuto fare di più, avrebbe dovuto censurare i suoi alunni, impedirgli di esprimere una loro valutazione. In tutte le scuole nazionali è montata l'indignazione; a seguito ne è nata una mobilitazione assai larga di alunni e docenti a favore delle libertà di pensiero e parola, nonché della libertà d'insegnamento, tutti orrendi crimini che, purtroppo, sono addirittura tenuti come fondamento del nostro stato da quella cosa sovversiva che è la Costituzione:
Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non puo` essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si puo` procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorita` giudiziaria [1116 ] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorita` giudiziaria, il sequestro della stampa periodica puo` essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorita` giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge puo` stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Art. 33. L’arte e la scienza sono libere e libero ne e` l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parita`, deve assicurare ad esse piena liberta` e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, universita` ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Interpellato, Salvini ha cercato prima di capitalizzare (i soliti insegnanti di sinistra, via la politica dalle scuole, è indegno...), poi però, quando diveniva sempre più evidente come Borgonzoni e provveditore avevano fatto la pipì fuori dal vasino, ha smistato la palla al ministro competente (non è una battuta) Bussetti, che ha saputo solo dire che prima avrebbe dovuto leggere le carte.
Attenzione, a questo punto la sospensione è già scattata, la polemica monta da giorni, e Bussetti ancora non ha capito di che si parla.

Passano i giorni, sulla polemica interviene chiunque. Mentana ci avvisa che la professoressa è anima pia ma che quel paragone è illegittimo; Zecchi invece ci dice che addirittura ciò che ha fatto la docente è drammatico e grottesco, e che lei è una pessima insegnante (confermando una volta di più che anni e anni di permanenza tra i salotti Mediaset sono valsi il suo totale rincoglionimento).
Pochissimi notano invece che i ragazzi hanno giustamente colto il clima di deumanizzazione che precedette proprio il varo delle leggi razziali e, soprattutto, nessuno si è chiesto se, in un atto, quello sì, l'unico realmente legittimo, da quelle slide sia nata una discussione in aula e se e come l'insegnante abbia avuto modo di aiutare gli studenti nel capire in cosa e in quanto il loro paragone era scorretto, illegittimo, esagerato o, semplicemente fuorviante. Insomma, mentre si è pontificato di scuola, nessuno si è chiesto se nell'occasione si sia fatta realmente scuola (cosa di cui, peraltro, sono pienamente convinto).

Torniamo alla foto: Salvini e Bussetti, infine, incontrano la docente per un chiarimento. Tanti di noi fra i docenti avevano espresso il proprio malcontento riguardo a questo incontro. Perché? Il rischio era di dare un palco, l'ennesimo, a Salvini, concedendogli infine l'aureola del governante paterno che riammetteva graziosamente al lavoro la dipendente infedele (termini non usati a caso, attenzione). Infatti alla fine dell'incontro Salvini si è proclamato contrario al provvedimento di sospensione e ha ordinato al povero Bussetti, ancora in dubbio sul perché si trovasse anche lui a Palermo in Terronia sud, di riammettere da lunedì 27 la docente.

Di nuovo, la foto:
un ministro che prima si era laureato in Educazione fisica con tesi sul minibasket e un ministro in possesso solo del diploma si sono confrontati con una docente di Lettere con un passato di studi specialistici in Storia, nonché, da quel che mi risulta, pubblicazioni, sulla legittimità e sull'esattezza storica di un eventuale paragone fatto nella classe della docente, concedendole infine di poter tornare al proprio posto di lavoro libera dalla propria sospensione giorno 27 maggio 2019, guarda un po', lo stesso giorno in cui sarebbe comunque tornata a lavoro.
Come suona così? Male, vero? Molto male. Lo sentite quel sottile olezzo di merda, quel non so che di Orwell che aleggia nell'aria. Quella cosa strana per cui qualcuno, quando prende il potere, decide di poter riscrivere a suo piacimento storie, narrazioni, verità, per costruire quella più conveniente a sé, in maniera talvolta talmente sfacciata da rasentare il ridicolo, se non fosse che chi sfida il ridicolo spesso lo fa perché sa bene che in una società di massa e bombardata da informazioni, queste scivolano via lasciando poche se non alcuna traccia.
Un'ultima domanda: perché la Digos? Perché la polizia? A che punto ci troviamo nella scala da "0" a "merda siamo fottuti", nel gioco del Costruisci anche tu il tuo regime?

giovedì 9 maggio 2019

I fatti del Salone di Torino, spiegati



Spieghiamola in maniera chiara, con un paragone.
Mettiamo il caso che voi abbiate come ospite al Salone del libro il figlio di una vittima di mafia, o una vittima stessa, a presentare un libro; mettiamo che nello stand accanto ci sia un editore colluso con la mafia o dichiaratamente favorevole a quel tipo di organizzazione sociale e politica (questo è la mafia, una forma di organizzazione sociale e politica), chiaramente considerata criminale e criminogena dallo Stato. Bene, secondo voi la vittima di mafia accetterebbe di stare lì? E se vi dicesse che lo Stato deve scegliere, o decide di dare la voce alle vittime della mafia, o decide che vittime e carnefici stanno sullo stesso piano, voi che posizione prendereste?

Bene, togliete le parole "di mafia" e sostituitele con "del fascismo", prendete le parole "con la mafia" e sostituitele con "con il neofascismo", e avrete l'esatto quadro di quanto è accaduto e sta accadendo a Torino in questi giorni.

Inciso numero uno: ci sono giornalisti di destra, come Sallusti, che parlano di censura nei confronti dell'editore dichiaratamente fascista, perché essere fascisti non sarebbe un reato, e allo stesso tempo lamentano un comportamento fascista da parte di chi ha deciso di far rimuovere lo stand incriminato. Intanto fate pace col cervello, o i comportamenti fascisti sono leciti, e allora bene hanno fatto gli organizzatori a far rimuovere lo stand fascista, o il fascismo non è lecito, e allora lì lo stand non doveva starci a prescindere. In secondo luogo, occorre fare chiarezza una volta per tutte, non esiste una maniera innocua di essere fascista: se il fascista è davvero tale, non crede nella democrazia, nei diritti, nella Costituzione, e se non ha instaurato una dittatura (cosa infatti rimpianta dal suddetto editore) è solo perché non ne ha (ancora) la forza politica e militare; indi, il fascista, è SEMPRE un soggetto pericoloso.

Inciso numero due: il ministro che dovrebbe sovrintendere a che le leggi Scelba e Mancino che perseguono l'apologia di fascismo e il tentativo di ricostituzione di partiti di ispirazione fascista, oggi difende l'editore fascista e parla di censura, (mentre pubblica con lui e ne veste gli abiti); la contraddizione è evidente e a non volerla vedere si pecca (almeno) di malizia, se non di connivenza. Il suddetto ministro dice che il fascismo è roba del passato, che non c'è alcun rischio, eppure non fa altro che lamentarsi tutto il tempo per roba del passato, i comunisti: anche lui faccia pace col cervello, o il Ventesimo secolo è finito per tutti, o non è finito per nessuno, e se è così, allora il pericolo fascismo è tutt'ora esistente, e il primo sintomo del suddetto pericolo è proprio lui e le squadracce nere che sta legittimando e armando.

lunedì 8 aprile 2019

Cronaca semiseria di un viaggio d'istruzione


Martedì

Ore 5.30 del mattino: il docente di lettere, accompagnatore della classe non sa neanche lui perché arriva in stazione; qui incontra il primo degli alunni, G.. G. è sveglio e fresco come una rosa, tu, docente accompagnatore, invece non hai ancora realizzato se ti trovi in un incubo o se ti sei realmente svegliato. Inizi a capire che accettare di portare la classe in gita potrebbe non essere stata la migliore delle tue idee.

Ore 6.00: inizia a raggrupparsi la classe. L'alunna S. tira senza dormire direttamente da una seratona pre-viaggio; l'alunna E. arriva accompagnata da un parente che, abbandonandola alla tua responsabilità, sembra gongolare; l'alunno B., fissandoti, sembra chiedersi chi tu sia.

Ore: 6.30: si sono radunate le due classi che partiranno verso mirabolanti avventure, gli accompagnatori intorno a te sembrano carichi a mille, tu vuoi solamente un caffè. L'autobus non arriva.

Ore 7.00: con lieve ritardo, si parte. Qualcuno si addormenta subito, altri non si addormenteranno, mai, per tutta la gita.

Ore 8.00: i docenti accompagnatori, te compreso, hanno già iniziato a spettegolare di qualsiasi creatura pensante in città e provincia. L'autista del bus, a sentire i loro discorsi, appare quanto meno perplesso.

Ore 9.00: prima sosta. L'alunno T. comunica che forse a breve morirà, o avrà il cagotto: ha deciso di non leggere le indicazioni per l’assunzione di un farmaco e, anziché ingerirlo, s'è messo a masticarlo e suggerlo come una “ciunga”. La collega accompagnatrice, farmacista, inizia a meditare una serie di improperi sintetizzabili in limortaccituaecinqueannicheviinsegnochedoveteleggereibugiardini.

Ore 13.30: imbarco sul traghetto. L'equipaggio parla inglese come tuo figlio di tre anni, ma voi accompagnatori non volete essere da meno; ne seguono meravigliosi dialoghi tipo “the pen is on the table”, utilissimi per gestire senza problemi la distribuzione delle camere. Dopo mezz'ora, necessaria per capire la differenza fra una camera tripla e una quadrupla, tutti sono sistemati. S. sparisce, per ricomparire ad orario di cena. B. non ha ancora capito chi tu sia.

Ore 15.00: tieni una lezione di storia greca sul ponte della nave. Una metà di alunni la segue, l'altra metà insegue turiste triestine.

Ore 16.00: l’alunno F. si presenta sul ponte della nave in pantaloncini, ciabatte e calzini. Non sarà l’ultima volta: evidentemente non ha nessuna intenzione di abbordare alcunché di senziente.

Ore 17.00: la collega accompagnatrice ha sequestrato un gruppo non meglio definito di alunni costringendoli ad una lezione non stop sulla sua materia per recuperare lacune che risalgono fino alla scuola materna. Tu impari a conoscere gli alunni dell'altra classe, notando che hanno una buona parola per tutti. Più o meno. Soprattutto meno.

Ore 19.00: i tuoi alunni sono immediatamente riconoscibili: sono quelli perennemente in ritardo. Su qualsiasi cosa: sulla consegna dei documenti, sul controllo delle camere, sul ritrovo pre-cena. Capisci di aver lavorato benissimo sul rispetto delle regole.

Nel frattempo due dei tuoi alunni, la coppietta della classe, si sono appartati in camera innumerevoli volte. Ogni volta che li vedi ribadisci che siete partiti in venticinque e in venticinque dovete tornare, nondimeno ti congratuli con il tuo alunno per i suoi ripetuti tre minuti di gloria.

L'alunno D. intanto ha puntato una povera disgraziata dell'altra classe: la fissa ammiccante e cerca di conquistarla con le sue battute che, negli anni, gli hanno causato odio e riprovazione da parte di ogni creatura senziente nella scuola. Preghi che lei non soffra della sindrome della crocerossina.

L'alunno C., nel frattempo, ha già verificato presenza e capienza delle scialuppe di salvataggio, nonché spiato conversazioni segrete tra i membri dell'equipaggio, scoprendo peraltro che la nave non è a norma. Tu vorresti solo caffè. È ricomparsa S.

Ore 21.00: Tu sei devastato. S. che non ha più sonno, tenta di organizzare un rave party sul ponte della nave. Con i colleghi inizia l'inseguimento degli alunni per ricondurli alle camere.

Ore 22.00: P., normalmente pacato, ha posto le basi per un gemellaggio con un istituto di Desenzano, e ora guida un trenino stile carnevale che vaga per la nave come un corteo di menadi danzanti.

Ore 23.00: finalmente avete ritrovato K. e E., che vagavano indisturbate chissà dove chissà dove per il ponte. Quando dite loro di andare a dormire, urlano da lontano e beffardamente il loro assenso, e zompettano come Doraemon.




Mercoledì:

Ore 6.00: hai sentito la sveglia, primo traguardo della giornata.

Ore 7.00, colazione: ricompare l'autista del bus; la collega accompagnatrice ha gli occhi pesti dal sonno e dalla disperazione.

Ore 8.00, sbarco: decidete di tentare di ammalarvi attendendo lo sbarco sul ponte della nave. A sbarco avvenuto, ci si dirige verso le Meteore. Immediatamente saliti su bus, gli alunni si addormentano, si accoppiano o si accoppano. I docenti riprendono a commentare la metafisica di Platone e l'ultima puntata di Paperissima sprint.

Ore 11.00: l'avvicinamento alle Meteore segue un ritmo sempre più incalzante, dato dal crescere del numero dei tornanti sulla strada stile anni ‘70 e dal direttamente proporzionale numero di craniate contro i finestrini, date dagli alunni addormentati sul bus.

Ore 12.00: visita alle Meteore. Le alunne vengono invitate ad indossare una sorta di gonna-pareo per rispetto del luogo: K. la indossa come se fosse una minigonna ascellare, tanto che la inviti caldamente a rivalutare la sua interpretazione delle parole della guida. Incontriamo vari monaci eremiti, contentissmi mentre dei turisti italiani interrompono la loro scelta di vita. Tu, come loro, intimamente sogni che qualche alunno si fermi lì.

Ore 14.00: L'accompagnatrice ha perso 15 anni di vita urlando dietro alla sua alunna, detta Il bradipo senza gambe, che, incurante di aver evitato Scienze motorie per anni, sulle Meteore si scopre spericolata e vuole farsi foto in posa eroica ad un millimetro dal nulla.

Ore 16.00. Primo albergo: una schifezza. Alla reception la collega cazzia qualsiasi cosa parli greco per la condizione delle camere.

Ore 17.00: dopo una lunga sfilza di minacce, morali, economiche e fisiche, viene risolto il problema delle camere.

Ore 18.00: dalle camere degli alunni definiti iperproteici si odono urla e schiamazzi. L’alunno Zu. geme che neanche per un coito: stanno tutti facendo pesi, ‘sti qua. In gita. Con quindici ragazze nell’altra classe.

Ore 19.00: l’alunno F. ti delizia con un’altra perla: fa decollare un drone dalla propria camera in direzione delle Meteore. Udito uno strano ronzio, ti affacci sul balcone, e scorgi ‘sto coso che vola vicino alla tua finestra. Dato che non vorresti destare scandalo con le tue nudità, inviti F. a fare rapidamente atterrare quell’affare.

Ore 22.00: dopo cena, i ragazzi vengono con te e l'accompagnatore B. a bere una birra. spenderanno ciascuno 80 euro in birre, 40 in shortini, cifre non definibili in offerte varie alla cameriera. Sid. si perde.

Ore 24.00: albergo. Piantoni una delle camere. Senti le voci. Entrato, scopri tre intrusi, da qui in poi Prila 1, 2 e 3.




Giovedì




ore 7.30, partenza verso Delfi, in teoria. I tuoi alunni però, per coerenza, sono in ritardo sul ritardo. Tra invocazioni alla madonna e porconi a latere riuscite alla fine a partire, non prima di aver rischiato di dimenticare la consegna di quasi metà delle chiavi dell'albergo; albergo peraltro in cui si attende con ansia la vostra partenza.

Ore 10: tutti dormono ad eccezione dei docenti, intenti a sparlare del passato e del futuro. Il conducente è sempre più alienato.

Ore 12.00. Arrivo a Delfi. La ricerca disperata di cibo porta metà comitiva a fermarsi presso il primo localino sulla strada, dove un poveruomo inizia a servire gyros, pita e tsaziki come non ci fosse un domani. Alla fine del pasto, la vita sociale è rimandata a data da destinarsi per vampate di alitosi.

Ore 14.00: ad accogliere i nostri eroi per la visita guidata del santuario è una guida che ha tanta voglia di stare lì quanta ne hanno gli alunni di tornare a scuola. Tuttavia la visita procede. La classe che accompagni accumula tali ritardi da poter essere un giorno ritrovata tra i reperti, ma tu non te ne accorgi perché sei in astinenza da caffè.

Ore 14.30: all'alunno Z. viene in mente di buttare il biglietto del museo, che però serviva anche per il resto della visita. Seguono vaticini della pizia che prevedono sciagure per l'imminente esame di Stato del giovane virgulto veronese, e più prosaici porconi.

Ore 17.00: arrivo all'albergo, 40 km a sud-est di Atene. Inizia l'ossessivo lavoro dei questuanti, con le uniche due richieste a cui sono veramente interessati già dal giorno in cui è stata proposta la gita: ”possiamo andare in spiaggia?” e “possiamo bere alcoolici?”

Ore 22: l'alunna V., morosa dell'alunno Z., s'è incriccata. Z. invece è quasi svenuto a vederla. Mica hai capito come sia successo, ma ha la testa rivolta verso destra, tipo Alessandro magno o Buzz Lightyear che guarda verso l'infinito e oltre; magari è successo perché sta sempre girata a limonare Z., o perché non si è asciugata i capelli, o perché poi ha pensato bene di stare al vento. L'idea di strangolarla prende corpo, ma più pacatamente le viene consigliato di stare al caldo, tanto caldo.

Ore 23: hai sonno, ma questi vogliono stare sulla spiaggia. C'hanno pure la chitarra: alternano canti gregoriani, Battisti e stornelli da taverna. Il prof. B decide di immergersi per provare il mare greco, la prof.ssa R. quasi sviene a vederlo mentre gli urlate che l'assicurazione non lo copre.

L'alunno S. lavora per limonarsi la compagna di viaggio già vittima di D., ma l'alunno D. gli si piazza davanti e li fissa. Costantemente. In maniera inquietante. E fa battute.




Venerdì




Ore 7: partenza, forse. Ritardo biblico dei soliti. Segue cazziatone epico da parte della prof.ssa R.. Sarà il primo di una lunga serie.

Ore 10: visita guidata della città di Atene. Farete 15 km di strada a piedi, l'obiettivo non è visitare Maratona, ma fare la maratona.

Alla vista del Partenone l'alunno D. esclama: “è rotto!”. Seguono improperi da parte del qui presente professore ex archeologo. Tu scatti foto in maniera compulsiva a qualsiasi cosa abbia l'apparenza di essere un bene archeologico, o, in mancanza, ad alunni sorpresi in pose disdicevoli per poterli meglio ricattare in seguito.

Ore 13: gli alunni sono scontenti della visita guidata dell'acropoli, loro sono venuti lì per comprare i souvenir che dimostrino che si sono divertiti tanto a visitare l'acropoli. Affoghiamo tutti assieme la frustrazione nell'ouzo.

In realtà tutti i ragazzi sono interessati ai falli che è possibile acquistare in giro per la città; non tutti hanno capito, o vogliono capire, che hanno esclusivamente un valore apotropaico. Segue l'acquisto di pacchianate allucinanti, come riproduzioni in scala 1:2 del Partenone, maschere di bellezza sul modello della maschera di Agamennone, spille, magliette, borse, fusti di colonne e capitelli.

Ore 17: proponete la visita del tempio di Poseidone a capo Sounion; gli alunni si oppongono, ma nessuno ha ancora spiegato loro che non vivono in democrazia. A metà strada iniziano a tormentare gli accompagnatori chiedendo di andare in bagno: risulta geniale l'idea di essersi tracannati una pinta di birra prima di salire sul bus.

Ore 19: capo Sounion, inizia la sagra della foto di gruppo. Vieni ritratto più volte nell'atto di inveire contro malcapitati alunni.

Ore 22: dopo cena, l'alunna S. ti chiede di venire nella sua camera perché c'è un problema. Già il fatto che non ti voglia dire quale sia il problema, è un problema. Arrivi in stanza: sulla scena del delitto si presentano, prima in 4, poi in 6. L'alunna ha perso i documenti, ottima cosa in vista del rimpatrio previsto per l'indomani. Più che i problemi al confine, teme di essere impalata dagli altri accompagnatori. La rassicuri, se arriverà, la morte sarà veloce e relativamente poco dolorosa. Intanto la inviti a ricontrollare ogni oggetto di sua proprietà o pertinenza.

Seguono attimi di panico, in attesa di sapere se l'alunna potrà avere o no problemi.

Ore 2 di notte: è arrivata una comitiva da Torino e fanno un casino della madonna. Non si dorme, e in più salta la luce in tutto l'albergo, e non tornerà più. Si inizia bene la nuova giornata.




Sabato




Ore 6.00: da 3 ore è saltata la luce in tutta la zona, e piove a dirotto. Le sveglie non hanno suonato e i torinesi hanno fracassato le pelotas per tutta la notte; i tuoi accompagnatori hanno fatto la notte in bianco cazziando al buio qualsiasi cosa si muovesse, camerieri e autista compresi. Tutti partite dopo aver fatto colazione a lume di candela, senza esservi lavati. I tuoi presagi si stanno confermando tutti.

Ore 11.00: incontro con la guida ad Epidauro. Il tizio sembra Charlie Brown ed è flemmatico come un ghiacciaio che erode un monte, per millenni. Nel frattempo gli alunni si sono inzuppati visitando il teatro, sembrano dei pulcini bagnati e porconianti.

Ore 12.30: a Micene grazie a Dio piove di meno, ma in pochi scendono dal bus. Visitando le mura ciclopiche molti rischiano di scivolare, i più tentano la via della broncopolmonite per tirare a casa fino a Pasqua. Un evento ti fa ghiacciare il cuore: hai scoperto che D. ha avuto successo con la malcalpitata, e da questa cosa può nascere solo il male assoluto.

Fate una corsa sotto la pioggia per raggiungere il megaron, vista bellissima. Visita alla tomba a tholos di Agamennone, mediti di rinchiudere lì dentro alcuni fra i tuoi alunni, D. in primis.

Ore 13.00: la guida è più brava come food blogger, organizza un pranzetto coi fiocchi, L’ultimo pranzo greco vede gli accompagnatori buttarsi sulla moussaka e sull’insalata greca come se non ci fosse un domani.

Ore 16.00: arrivo a Patrasso, in ritardo. K. ha una crisi isterica perché non ha mangiato di nuovo dopo due ore dal pranzo. S. supera il confine senza problemi, un’altra alunna scopre di non trovare la carta d’identità. Seguono maledizioni, invocazioni ai santi, presagi di sventura; il documento viene ritrovato, tra gli insulti, nel borsello.

Ore 18.00: lezione di storia. Gli alunni seguono pensando alle spiagge greche e, plausibilmente, alla tua morte.

Ore 23.00: dopo cena. Lasciate liberi gli alunni. Gravissimo errore.




Domenica




Ore 3.00 di notte: dalla reception chiamano il prof. B., dicendo un alunno morto sul ponte. Il collega e la collega R. rischiano l’infarto. Ma i greci parlano inglese peggio di voi: volevano dire che l’alunno vomita. R. e S. incazzatissimi iniziano il controllo di tutte le camere: gli alunni vengono sottoposti a test alcolemico, visita ginecologica, visita urologica ed esplorazione rettale, tortura del sonno.

Ore 11.00: lezione di storia, cerchi di salvare l’altra classe dalla prossima verifica.

Ore 14.00: pranzo e sbarco. Su suolo italico gli alunni baciano la terra, preceduti dagli accompagnatori.

Ore. 17.00: sosta. Assalto al McDonald. Segue costante rischio di vomito nelle restanti due ore di viaggio.



Ore 19.00: arrivo a Verona. Tutti sani e salvi, grazie a Dio. Tutti vi salutate, confidi che domani non verranno. Segue fuga casa e ringraziamento al cielo.

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....