The game di Alessandro Baricco è un libro interessantissimo; non tanto e non solo per la precisione dell'analisi, che anzi talvolta è deficitaria, quanto per l'acume di alcune intuizioni. Nella sua disamina sulla rivoluzione digitale, Baricco nota con genio felice che questo fenomeno nasce come reazione alla cultura novecentesca (ma manca qualsiasi riferimento al fenomeno più ampio che è stato il postmodernismo): in particolare l'autore osserva come all'immobilismo della tradizione, la rivoluzione digitale contrapponga la mobilità del gioco, nell'apprendimento, nelle dinamiche combinatorie e destrutturate della società, dell'organizzazione del lavoro, della politica e dell'informazione (mancando, come già detto, il confronto con la destrutturazione del sapere nell'arte postmoderna). Baricco osserva poi che la rivoluzione digitale si sviluppa con l'introduzione di nuove tecnologie che inconsapevolmente rispondono all'esigenza di superare la cultura novecentesca, sviluppando, attraverso internet, la piena realizzazione della sinergia tra cultura e tecnologia, quella che a vario titolo viene chiamata postverità o verità aumentata o post-esperienza. La rivoluzione è così il campo delle possibilità e della rapidità, al contrario di una tradizione fondata su di certezze uniche, monolitiche, profonde. Tuttavia le possibilità della post-esperienza richiedono abilità e competenze complesse e spesso contestate nella nostra società e formazione, basti citare la guerra, mossa in primis dalla scuola, all'esposizione agli schermi in giovane età e al multitasking. Proprio la difficoltà della post-esperienza genera una sorta di reflusso, oggi facilmente osservabile nelle dinamiche della tecnologia e della società: in contrapposizione al massimo delle possibilità fornite dalla libertà del web nascono le app e i portali chiusi o legislazioni sempre più stringenti, come in contrapposizione all'idea di un mondo totalmente aperto e globalizzato oggi si arranca alla ricerca di confini ormai anacronistici.
Baricco osserva poi come la rivoluzione digitale si stia evolvendo verso una serie di monopoli non in contrasto tra di loro, ma ricorda come questi monopoli siano comunque in grado di garantire un pluralismo che la cultura del primo Novecento aveva negato; al contempo muta il carattere del singolo individuo, non più riconoscibile come membro di in gruppo sociale, ma dominato dall'individualismo di massa.
Due considerazioni finali: Baricco afferma che alla rivoluzione digitale è mancata la cult
ura umanistica, ma in questo o sbaglia o mente, sottostimando largamente il ruolo che la letteratura cyberpunk e postmoderna hanno avuto nell'anticipare i successivi sviluppi sociali e tecnologici; sarebbe per ciò più preciso dire che gli intellettuali main stream come lui hanno a lungo mancato di comprendere quanto stava accadendo. Seconda considerazione, e più importante: la società della rivoluzione digitale non è la società dei nativi digitali, se assumiamo come date simboliche per questa definizione il 1993 negli USA e il 1999 in Italia, cioè i momenti in cui le connessioni veloci ad internet sono diventate disponibili e diffuse a tutti; prese per buone queste date, come fa gran parte degli studiosi, quanto vediamo è stato pensato e creato da chi si è nutrito dei paradossi della cultura novecentesca, mentre chi nel digitale è nato e cresciuto, per questioni anagrafiche, deve ancora scrivere le sue pagine in questa storia. Per qualcuno forse questa sarà una prospettiva terrificante, ma per chi, come me, con i nativi digitali lavora ogni giorno, questa è fonte di speranza, perché fra i nativi sembrano nascere gli anticorpi alle apparenti attuali degenerazioni di un fenomeno che, comunque, cambierà grandemente la storia della nostra specie.
martedì 25 dicembre 2018
The game, Alessandro Baricco
martedì 11 dicembre 2018
Petizione: Ministro Salvini, la Memoria storica non è un gioco di parole
Giulio Iraci ha lanciato questa petizione e l'ha diretta a Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica ItalianaEgregio Signor Presidente Sergio Mattarella,siamo un gruppo di docenti e dirigenti che ogni anno insegnano alle loro studentesse e ai loro studenti il valore umano e civile della Memoria storica.Restiamo sgomenti dinanzi al tweet di un ministro della Repubblica che, giocando con le parole, evoca un passato che ha condotto l'Italia nel baratro della guerra e delle leggi razziali, di cui quest'anno si ricorda l'ottantesimo anniversario.Ci siamo permessi di scriverLe per chiederLe, nel Suo ruolo di garante della Costituzione, di invitare il ministro Salvini a ritirare immediatamente quell'affronto inqualificabile alla Memoria di chi, all'insegna di quelle parole, fu discriminato, deportato e ucciso.Confidiamo in Lei, Signor Presidente, affinché la Memoria di quegli innocenti non sia oltraggiata, e affinché il nostro lavoro di docenti e dirigenti non sia vanificato.La Memoria storica non è un gioco di parole.Alessandra Pica (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Angela Gadaleta (Liceo Classico e Scientifico “Democrito”, Roma, dirigente)
Anna Maria Ricciardi (Liceo Classico “Anco Marzio”, Roma, dirigente)
Annalisa Rosati (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Antonella Grippo (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Antonella Maucioni (I.I.S. “Leonardo da Vinci”, Maccarese, dirigente)
Antonella Simoncini (I.I.S. “Vespucci - Colombo”, Livorno, docente)
Barbara Gizzi (I.I.S. “Pacinotti - Archimede”, Roma, docente)
Carla Ansaldo (I.T.I.S. “G. Galilei”, Livorno, docente)
Carlo Tuba (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, Liceo “E. Montale”, docente)
Clorinda Lovisi (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Cristiana Bullita (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Daniele Scopetti (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Dina Maria Pagliaro (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Eduard Wolken (I.I.S. “G. De Sanctis”, Roma, docente)
Elena Conti (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Elena Pica (Istituto Comprensivo Fara in Sabina, docente)
Eleonora Croce (I.T.I.S. “G. Galilei”, Livorno, docente)
Franca Canero Medici (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Francesca Rossi (I.I.S. “Angelo Frammartino”, Monterotondo, docente)
Francesca Scarano (I.I.S. “Angelo Frammartino”, Monterotondo, docente)
Francesco Libertini (Liceo Scientifico “B. Touschek”, Grottaferrata, docente)
Solidea Diana (Liceo “E. Montale”, Roma, docente)
Gabriele Miniagio (Liceo Scientifico “A. Avogadro”, Roma, docente)
Giovannina Corvaia (I.I.S. “Calamatta”, Civitavecchia, dirigente)
Giulio Iraci (Liceo Scientifico “A. Avogadro”, Roma, docente)
Guido Mozzetta (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Letizia Pollaci (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Lorenzo Seravalli (Scuola Secondaria di primo grado, “G. Borsi”, Livorno, docente)
Lucia Nicolai (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Lucia Rossi (I.P.S.E.O.A. “A. Berti”, Verona, docente)
Maria Grazia Ortenzi (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Maria Pezzolla (I.I.S. “San Benedetto - Righi”, Cassino, docente)
Maria Teresa Cabras (Istituto Comprensivo “Gramsci - Rodari”, Sestu, docente)
Marina Longo (Liceo Scientifico “A. Avogadro”, Roma, docente)
Marzia D’Alessandro (Liceo Scientifico “A. Avogadro”, Roma, docente)
Nicola Casadei (I.P.S.E.O.A. “A. Berti”, Verona, docente)
Paola Bisegna (Liceo Classico e Scientifico “Democrito”, Roma, dirigente in pensione)
Rosa Maria Ienuso (I.I.S. “Via Roma 298”, Guidonia-Montecelio, docente)
Rosamaria Crea (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Rosanna Sciacca (Liceo Statale “Gaio Valerio Catullo”, Monterotondo, docente)
Rosario Paone (Liceo Scientifico “G. Seguenza”, Messina, docente)
Sara Rutigliano (I.I.S. “T. Salvini”, Roma, docente)
Sebastiano Valentino Cuffari (I.P.S.E.O.A. “A. Berti”, Verona, docente)
Silvana Di Lorenzo (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente in pensione)
Stefania Buccioli (Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele II”, Roma, docente)
Stefano Vaselli (Liceo Scientifico “A. Avogadro”, Roma, docente)
Tiziana Felicioni (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Tullia De Majo (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Valentina Ciliberti (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Vincenzo Desiderio (Liceo Scientifico “G. Peano”, Monterotondo, docente)
Vincenzo Fiano (I.S.I.S.S. “U. Foscolo”, Teano, docente)
Link alla petizione da firmare
mercoledì 7 novembre 2018
I senza Stato. Potere, economia e debito nelle società primitive, Andrea Staid
In questo saggio l'antropologo Andrea Staid analizza l'organizzazione politica di alcune tribù amerinde di cacciatori-raccoglitori, a confronto con altre comunità simili di altri continenti, per ricostruire quelle che dovevano essere le caratteristiche associative delle società preistoriche. Al contrario del comune pensiero, emerge la complessità di simili comunità, accomunate però dall'assenza di uno Stato inteso alla maniera occidentale, ossia fondato su un rapporto gerarchico istituito sulla base del potere coercitivo. Al contrario nelle società senza Stato il potere, che fonda la politica, esiste, ma è diffuso ed egalitario; anzi, simili società attuano sistemi che impediscono la formazione di disparità gerarchiche che fungerebbero da presupposto per il potere coercitivo. Per questo in simili società è diffusa la proprietà condivisa, soprattutto, queste società si fondano sui valori dell'ospitalità e delle generosità gratuita, nonché sul dono. Proprio il concetto di dono apre il capitolo sull'importanza del debito in questo tipo di comunità, dove, al contrario di quanto accade nelle società fondate sul potere coercitivo, non è il popolo sottomesso ad essere in debito nei confronti del detentore del potere, e per questo tenuto a prestazioni e fedeltà, ma è il leader, il big man ad essere in debito nei confronti della comunità che per appagare il suo desiderio di comando gli concede il potere, in qualsiasi momento revocabile: per questa ragione il big man, il leader di queste comunità, è spesso il più povero, proprio perché tenuto a continue elargizioni e munificenze nei confronti dei suoi vicini. Emerge anche come in queste comunità senza Stato il lavoro non abbia a questo punto la funzione di una produzione di surplus, ma sia anzi finalizzato al mantenimento dell'equilibrio tra natura e sopravvivenza del gruppo: per questo motivo le ore dedicate al lavoro sono in realtà piuttosto scarse e la comunità autonomamente limita la produzione, dato che la produzione stessa non ha come scopo l'arricchimento del singolo attraverso la circolazione dei beni, ma il sostentamento dell'intera comunità e la sua preservazione.
Da questo studio emerge chiaro come il modello di governo occidentale non sia né l'unico né naturale, ma come anzi sia frutto di determinati processi storici e che esso stesso possa essere soggetto a revisione e a miglioramenti, anche drastici, in senso egalitario e realmente democratico.
giovedì 1 novembre 2018
Cuori elettrici, AAVV
Cuori elettrici è un'antologia di racconti cyberpunk pubblicata in Italia nel 1996.
Per tutti gli anni '70, '80 e '90 il genere del cyberpunk è stato fra i più attivi, sfornando visioni della realtà a cavallo tra il distopico e il paranormale, spesso velate da una persistente e sarcastica ironia. Diversi autori si sono provati nel genere, a partire dai grandi classici quali Dick e Gibson, e sebbene oggi questa categoria della fantascienza appaia dormiente, tuttavia la sua narrazione trova spazio nelle rappresentazioni cinematografiche, anche di largo successo (Blade Runner, Ghost in the shell...).
Le caratteristiche del genere sono del resto sfuggenti: l'interesse per la sovrabbondanza dell'informazione e l'onnipresenza della rete informatica, già annunciata dalla letteratura in questione diversi decenni prima della sua comparsa, non sono gli unici elementi specifici che caratterizzano i racconti qui antologizzati; compare spesso il gioco letterario sulle implicazioni filosofico-religiose degli studi scientifici, la riflessione su come l'avanzamento tecnologico e scientifico possa modificare il rapporto tra l'uomo e l'ecosistema in cui vive, finanche il rapporto tra l'uomo e se stesso, attraverso la modificazione del suo corpo.
Fra i racconti antologizzati, a parere di chi scrive, spiccano La stanza di Skinner, di William Gibson, con la sua visione allucinata della nascita di una comunità dal nulla sulle ceneri di un ponte divenuto, nel suo perenne rischio di crollare, emblema della mutevolezza della vita umana, nel perenne rischio di sparire da un momento all'altro; Vita di strada, di Paul Di Filippo, che ci porta ad osservare la vita in un futuro distopico attraverso gli occhi di una creatura artificiale, solo parzialmente umana, alle prese con la vita di un poeta tanto celebre quanto spiantato, degradato simbolo della fine dell'arte, costretto alla prostituzione per mantenersi, e all'uso di droghe artificiali capaci di ampliare e sovvertire la percezione della realtà e della sessualità; Chernobyl neurale, di Bruce Sterling, che, nell'inusuale forma della recensione ad un saggio scientifico, pone in maniera semiseria la questione di come la ricerca scientifica umana possa, incoscientemente, modificare non solo il vivere umano, ma soprattutto l'ecosistema intorno a noi, fino alla paradosso del generare una civiltà altra rispetto a quella umana e ad essa concorrente; Preveggenza, di Michael Swanwick, che, partendo dagli studi della fisica quantistica e della relatività, pone in discussione la tradizionale percezione del tempo e della memoria, ponendoci di fronte alla narrazione di un omicidio a partire dal suo compimento retrocedendo fino al momento del suo concepimento, non sotto la forma del flashback, ma seguendo lo schema della fabula al contrario; infine, Il gattino di Shroedinger, di George Alec Effinger, che pur con momenti eccessivamente didascalici, sempre partendo dagli studi sulla fisica quantistica, teorizza l'esistenza di infiniti futuri a partire dallo svolgimento di una singola azione, futuri indeterminati fino a che non vengono osservati, ma che proprio nell'atto dell'essere osservati, nel caso del racconto attraverso visioni mistiche, vengono modificati dall'osservatore, secondo il principio di Heisenberg.
In ultima analisi, Cuori elettrici, pur essendo una raccolta di racconti non certo di valore uniforme, ha il pregio di portare alla ribalta italiana un genere e degli autori che solo sporadicamente trovano spazio tra le linee editoriali delle nostre case editrici, e, soprattutto, ha il merito di mettere il lettore di fronte ad una letteratura fantascientifica mai banale e che, in termini solo in parte simili alla fantascienza classica alla Asimov, dialoga in maniera critica e partecipe delle principali questioni scientifiche e filosofiche della sua epoca.
lunedì 29 ottobre 2018
Lettera aperta a #Salvini e a #Meloni su #Bolsonaro
in merito alle vostre prese di posizione a favore dell'elezione di Jair Bolsonaro, desidero chiedervi alcune cose (abbastanza consapevole di non ottenere risposta, e tuttavia fiducioso di essere smentito).
Non discuto che Jair Bolsonaro sia stato eletto alla presidenza del Brasile secondo le modalità della democrazia, e quindi sfruttando anche tutte le tecniche di persuasione e di propaganda, lecite e meno lecite, che il sistema concede. Tuttavia vi chiedo: gioire per la disfatta della sinistra brasiliana (che, per inciso, è ben diversa dalla sinistra italiana), legittima il consenso per una simile figura? Il vostro odio nei confronti degli ideali di sinistra vi porta davvero a considerare preferibili le posizioni di Bolsonaro?
Nella lunga carriera parlamentare che lo ha portato alla vittoria, Bolsonaro ha dichiarato (fonte delle traduzioni di queste dichiarazioni è TPI):
“Sarei incapace di amare un figlio omosessuale. Non sarò un ipocrita: preferirei che mio figlio morisse in un incidente piuttosto che presentarsi con un tipo con i baffi”. (giugno 2011)
“Se vedo due uomini che si baciano per strada, li uccido”. (ottobre 2002)
“Ai brasiliani non piacciono gli omosessuali”. (2013)
Considerate legittime e condivisibili queste affermazioni? Le fareste vostre in campagna elettorale?
Rimanendo alla questione della parità di genere:
“Ho cinque bambini. Quattro di loro sono maschi, ma per il quinto ho avuto un momento di debolezza ed è uscita una femmina”.(aprile 2017)
“Ho detto che non ti violenterei perché non te lo meriti”. (dicembre 2014, alla politica Maria do Rosário, ripetendo un commento che le aveva fatto per la prima volta nel 2003).In altre circostanze poi Bolsonaro ha affermato di ritenere legittimo che le donne vengano retribuite meno degli uomini e che, comunque, potendo scegliere sarebbe preferibile assumere uomini. In qualità di ex Ministro nonché di Onorevole, signora Meloni, condivide queste posizioni? E lei signor Salvini in che modo fa collimare la sua lotta alle discriminazioni di genere compiute dall'Islam con le prese di posizione di Bolsonaro?
Riguardo all'immigrazione e più in generale riguardo ai diritti umani, Bolsonaro ha dichiarato:
“La feccia della terra si sta facendo vedere in Brasile, come se non avessimo abbastanza problemi da risolvere”. (settembre 2015)
“Sono a favore della tortura”. (maggio 1999)
“Le prigioni brasiliane sono luoghi meravigliosi, posti dove le persone devono pagare per i loro peccati, non vivere come in una spa. Coloro che violentano, rapiscono e uccidono vanno lì a soffrire, non a frequentare un cento vacanze”. (febbraio 2014)
“Siamo obbligati a dare a questi bastardi criminali una bella vita? Passano l’intera vita a prenderci in giro e quelli di noi che lavorano devono dare loro una bella vita in prigione. Dovrebbero fottersi, punto e basta”. (febbraio 2014)Sono consapevole della vostra battaglia contro l'istituzione del reato di tortura in Italia, eppure voglio credere che fra gli eccessi di cui talvolta e in casi sporadicissimi sono state sospettate le forze armate e le sistematiche e ripetute torture adoperate dal regime dittatoriale che per decenni ha governato il Brasile, per voi esista una differenza: è così? O approvate le dichiarazioni di Bolsonaro al riguardo? Riguardo ai rifugiati (quindi non in merito all'emigrazione clandestina da voi ampiamente condannata), anche per voi chi fugge da catastrofi naturali, epidemie o guerre è "feccia"? Lo erano anche gli Italiani che fuggivano dalla persecuzione o dalla pulizia etnica nei Balcani?
Anche per voi non esiste differenza tra peccato religioso e reato, tanto da poter assimilare i due concetti?
In ultimo, sulla stessa democrazia:
“Non cambierà mai nulla in questo paese attraverso il voto. Niente. Assolutamente niente. Le cose cambieranno solo quando inizierà una guerra civile e noi faremo il lavoro che il regime militare non ha fatto”. (maggio 1999)
“Sono a favore di una dittatura. Non risolveremo mai i problemi della nazione con questa democrazia irresponsabile”. (1992)Concordate con Bolsonaro sulla sua visione della democrazia? Anche per voi è preferibile una dittatura militare ad una democrazia? Lo affermerete nelle vostre prossime campagne elettorali? Lo metterete fra i punti programmatici dei vostri futuri governi?
Credo che ottenere risposte puntuali a simili questioni sia diritto di ogni cittadino ed elettore: in ultimo, se queste sono le vostre posizioni, perché non le esplicitate? E se non lo sono, perché dite di apprezzare Bolsonaro? Siete sicuri che il fatto che Bolsonaro abbia vinto in Brasile sbaragliando la sinistra sia un bene?
In attesa di un vostro chiarimento, Vi porgo i miei cordiali saluti.
Prof. Sebastiano Valentino Cuffari
giovedì 25 ottobre 2018
Lodi, Verona, Riace, Provenzano, o dell'attacco ai diritti della persona
Dovrebbe. altrimenti Legalità e Giustizia non collimano.
Per questo motivo, nell'applicarla, la legge, dobbiamo essere attenti e rigorosi, sia nei confronti di chi amiamo, sia verso chi odiamo: domani potremmo essere noi coloro che sono odiati dal potere, e solo la costanza del Diritto potrà salvarci dall'arbitrio del sopruso.
A Lodi una zelante sindaca decide di richiedere dei certificati, che già sa impossibili da ottenere, dalle famiglie dei bambini emigrati iscritti alle scuole della città per dimostrare di non possedere ricchezze nei paesi di origine. Il risultato è l'esclusione dei bambini dalle mense: certo, oggi i bambini mangiano di nuovo a quei tavoli grazie alla raccolta di denaro che è nata spontaneamente, ma il danno è fatto. A Lodi si è instaurato un regime di apartheid di fatto, e così mentre nessuno chiede ad un italiano di dichiarare se ha depositato denari all'estero, il migrante è considerato per principio colpevole di un reato o di una colpa morale, a lui starà, se in grado, di dimostrarsi innocente, altrimenti la presunzione di colpevolezza sarà dimostrata, seppur senza prove. la persona attaccata per un obiettivo dello Stato. In più: costringendo le famiglie degli immigrati ad andare a prendere i figli a scuola e a riportarli dopo il pranzo, si impedisce alle donne immigrate l'accesso al mercato del lavoro, proprio come s'era fatto in Veneto tentando di limitare l'accesso degli immigrati agli asili pubblici: il tentativo studiato di limitare i processi di integrazione per avere uno strumento da brandire, l'impossibilità presunta dell'integrazione, alle elezioni.
Al contrario di quanto sostenuto da persone becere e meschine come Salvini e Di Maio, la Corte Europea di Strasburgo non ha messo in discussione il 41bis, ma un eccesso nella sua applicazione. Negli ultimi 4 mesi di vita Provenzano, agonizzante e incapace di intendere e volere, non sarebbe dovuto rimanere sotto quel regime, dato che quel regime non si pone come aggravamento della pena dovuto agli atti compiuti, ma come strumento con cui lo Stato si cautela da eventuali rapporti con l'esterno che un boss può tenere. Se il boss non è più in grado di esercitare questo ruolo, non ha più senso il 41bis. Attenzione, non vuol dire che deve tornare in libertà: la sua pena, nei limiti della sua condizione fisica, la deve continuare a scontare. Ma uno Stato non può esercitare la sua autorità comportandosi secondo il principio della vendetta, almeno non uno Stato firmatario della Carta dei diritti dell'uomo. Provenzano, prima che boss, era uomo, e trattando la persona Provenzano in maniera disumana nei suoi ultimi 4 mesi di vita, lo Stato non si è mostrato migliore del boss.
sabato 6 ottobre 2018
I cambiamenti alla prima prova dell'Esame di Stato sono una resa (e un capo d'accusa)
Tre cambiamenti colpiscono subito: l'aumento di numero delle tracce di analisi del testo e di quelle di ordine generale, al contrario la riduzione d'importanza del testo argomentativo e, infine, la sparizione del tema storico.
Se l'idea di dare importanza alle competenze legate all'analisi testuale risulta apprezzabile, costringendo, tra l'altro, i docenti di lettere a smettere l'antica pratica, quanto mai deleterea, di spiegare letteratura come un elenco di biografie d'autori accompagnate da qualche lettura antologica, invertendo invece l'ordine dei fattori, la contemporanea crescita delle tracce di ordine generale dà una sinistra indicazione su cosa il MIUR si aspetta che accada davvero.
Tuttavia, è osservando quanto accade alla seconda e alla terza traccia che ci si fa un'idea più precisa su cosa sta avvenendo.
Come detto sommariamente sui social, la sparizione del tema storico, giustificata con la scarsa percentuale di successo fra gli studenti, evidenzia un primo problema: nell'insegnamento della Storia, tra l'altro sempre più depotenziato dalle stesse scelte del Ministero, è difficilissimo per i docenti riuscire a coprire l'arco temporale richiesto dalle indicazioni ministeriali; il paradosso è che mentre ci si accorge che occorrerebbe aumentare le ore di insegnamento di Storia (e della Geografia), queste ore vengono decurtate. In particolare poi negli Istituti Professionali questo taglio, un dimezzamento delle ore destinate all'insegnamento di questa disciplina, insieme all'obbligo di trattare la materia in Unità D'Apprendimento trasversali con l'insegnamento del Diritto, finisce per screditare l'epistemologia stessa dell'insegnamento storico; si crea poi il rischio concreto di dover ricorrere a tagli nello svolgimento del programma non recuperabili con l'attuazione di metodologie laboratoriali perché, se non è il tempo dedicato alla scuola a fare la scuola di qualità, tuttavia la scuola di qualità necessità di giusti tempi.
Un'altra falla storica emerge poi dalla cancellazione del saggio dalla prima prova: i nostri studenti, malgrado una pratica ormai ventennale, non sanno scrivere questo tipo di testo nel momento in cui, finite le Scuole Secondarie, si affacciano all'Università. Questa considerazione risale allo stesso MIUR:
Il tradizionale "saggio breve", per quanto concepito con la lodevole intenzione di svecchiare l’apparato delle prove di maturità, andava incontro a due obiezioni: in primo luogo l'indicazione di citazioni disparate, talvolta numerose, induceva nello studente lo stimolo a redigere un centone, dal quale non si poteva evincere in nessun modo la sua capacità di sviluppare un discorso autonomo e ben strutturato; in secondo luogo l'argomento proposto avrebbe richiesto una preparazione specifica o almeno una documentazione, senza le quali era inevitabile cadere nell'impressionismo di giudizio.Documento di lavoro per la preparazione delle tracce della prima prova scritta dell’Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione ( elaborato dal gruppo di lavoro nominato con DM n. 499/2017)Questa quindi si configura come una resa: non siamo riusciti a formare i nostri studenti nella stesura del genere testuale tipico della ricerca scientifica, quello che dovranno praticare, sia nello studio che nella produzione, se si approcceranno all'Università. Come mai? Due ordini di motivi: primo, gli insegnanti di lettere non sanno produrre saggi (perché nella loro stessa formazione scolastica e in quella universitaria nessun docente ha pensato di istruirli al riguardo, con la conseguenza che prevale l'approssimazione - per esempio sull'uso della bibliografia, delle citazioni, e più in generale le costruzione di un testo rigorosamente fondato sulla dimostrazione di una tesi - ); secondo, nessuno dei docenti delle altre discipline, malgrado le richieste provenienti dai Dipartimenti di lettere, contribuisce alla formazione dei discenti su questo tipo di testo, facendo sospettare che anche al di là degli insegnanti di lettere il rapporto con la dimostrazione scientifica sia tutt'altro che acquisita.
Il risultato?
Il risultato è la banalizzazione di una prova in cui, al di là della meritoria dimostrazione della comprensione di un testo, si chiederà pochissimo di dimostrare la conoscenza di argomenti e, soprattutto, spingerà alla produzione personale, quella dimostrazione di creatività caldeggiata dai documenti ministeriali che, purtroppo, se non è accompagnata da un rigoroso metodo logico argomentativo, che sparisce dall'orizzonte della prova, porterà a scritture impressionistiche e alogiche.
martedì 2 ottobre 2018
Riace, o della maturità, della legalità e della giustizia
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| In foto: Mimmo Lucano, sindaco di Riace |
Una democrazia matura oggi discuterebbe del perché un sindaco ha violato, se le ha violate, le norme sull'immigrazione clandestina, la legge Bossi/Fini, fino a rischiare l'arresto. Perché disprezza tanto quella legge? Perché lui, e tanti come lui, me compreso, considerano quella legge essa stessa criminogena? Quali sono le ragioni reali di chi la supporta, e in che modo i dati le confermano? Quali sono le ragioni reali di chi la contesta, quali i dati che le supportano?
Insomma, se la nostra fosse una democrazia matura, oggi staremmo a disquisire di diritto, di visti, di dati sull'immigrazione, sul percepito e sul reale e sulle connessioni tra criminalità, flussi migratori e integrazione.
Invece siamo alle solite curve da stadio, da un lato i buonisti, dall'altro i fascisti.
venerdì 21 settembre 2018
Il buio oltre la siepe, Harper Lee
Il buio oltre la siepe, pubblicato nel 1960 dalla scrittrice statiunitense Harper Lee, narra attraverso gli occhi di una bambina bianca il difficile caso di un uomo di colore, Tom Robinson, ingiustamente accusato di stupro e condannato in primo grado per questo; l'uomo, difeso dal padre della bambina Jean Louise (Scout) narratrice della vicenda, Atticus, avrebbe buone probabilità di ottenere l'assoluzione nei successivi gradi di giudizio, ma ormai vinto dalla pressione e dalla paura, cerca di fuggire dal carcere, venendo freddato da numerosi colpi di pistola delle guardie penitenziarie. La vicenda di Tom Robinson si intreccia con quella di Scout e di suo fratello Jeremy Finch (Jem): i due bambini crescono nell'Alabama degli anni Trenta, in cui, sebbene i Ku Klux Klan sia formalmente scomparso, il razzismo e i pregiudizi nei confronti delle persone di colore la fanno da padrone. I due ragazzi, insieme al loro amico orfano Dill, vengono su nell'ammirazione per il padre avvocato e nel rispetto delle persone di colore come l'amata domestica Calpurnia, cercando di scoprire il segreto del vicino di casa, da anni rintanato nel proprio terreno, Boo (Arthur Radley). Fra i ragazzi e il vicino si instaura un rapporto a distanza, fatto di piccoli doni e attenzioni, che ne cementa un'amicizia mai dichiarata. Intanto la difesa di Tom Robinson da parte di Atticus rende una parte della popolazione di Maycomb avversa all'avvocato, sebbene l'animo della piccola Scout nella sua semplicità riesca a smuovere alcuni fra i cuori più duri; in particolare è Bob Ewell, il padre di Mayella Ewell, l'accusatrice di Tom Robinson, a giurare vendetta a colui che l'ha screditato durante il processo: infatti durante la requisitoria di Atticus risulta chiaro come, sebbene poi il suo cliente sarà condannato, fosse stato Ewell ad aver mosso violenza alla figlia, rea di aver cercato di circuire un "negro". L'odio di Ewell si spinge a tal punto da tentare di uccidere di notte i figli di Atticus, ma nel parapiglia è proprio Ewell a risultare accoltellato a morte, forse da Jem o, più probabilmente, dal sopraggiunto Boo Radley, uscito per l'occasione dalla sua a casa a difesa dei suoi piccoli amici. Atticus, in un'ultima dimostrazione di integrità, vorrà che si tenga un regolare processo che dimostri l'autodifesa del figlio, ma sarà lo sceriffo, uomo duro ma ragionevole, a porre fine alla questione, archiviando il caso per evitare al ragazzino, ma anche allo psicolabile Radley, la pressione di un processo.
Il romanzo risulta di gradevolissima lettura, coinvolgente, talvolta didascalico, scelta di per sé spiegabile nell'artificio di un narratore bambino. Proprio la leggerezza della narrazione consente all'autrice di trattare un tema complesso come il razzismo nella società americana, una società in cui l'uguaglianza di fronte alla legge si scontra contro la prassi, prassi per cui in un delitto che coinvolge un bianco e un nero, è sempre il nero ad aver torto, perché inaffidabile, violento e impetuoso, almeno secondo l'opinione pubblica. Grande libro quindi, da leggere, scoprire e amare, per riflettere sulle storture della società, storture mai superate davvero.
venerdì 14 settembre 2018
La mia sera del Ventesimo secolo e altre piccole svolte, Kazuo Ishiguro
Il saggio La mia sera del ventesimo secolo e altre piccole svolte, di Kazuo Ishiguro, è la trascrizione del discorso tenuto dall'autore in occasione della cerimonia per il conferimento del premio Nobel per la letteratura.
In questo discorso l'autore ripercorre la propria esperienza personale di uomo e di autore dall'arrivo in Inghilterra fino ai giorni nostri, ricostruendo l'evoluzione della sua poetica a confronto con l'evoluzione della letteratura inglese e internazionale. Quella di Ishiguro è una visione volutamente personale e parziale, e così dalla sua visione letteraria e umana rimangono fuori temi e correnti che, semplicemente, hanno nel tempo interessato poco o nulla l'autore. Invece lo scrittore si concentra suo suo rapporto con l'essere un giapponese trapiantato in un'Inghilterra multietnica e multiculturale, prima ancora che la nazione se ne rendesse conto.
In più passaggi Ishiguro mette in luce la peculiarità della propria vicenda: arrivato giovanissimo dall'altra parte del mondo, si integra facilmente negli usi e nei costumi inglesi con l'andare a scuola, sorpreso dall'accoglienza ospitale di chi, fino a pochi anni prima, era acerrimo nemico durante la Seconda guerra mondiale; tuttavia a casa torna a farsi vivo il Giappone, incarnato nei suoi genitori che avvertiranno sempre come temporanea la propria presenza lontani dalla patria natia. Così Ishiguro cresce bilingue e immerso in due culture molto diverse e questa sua condizione si palesa nelle sue prime opere. Giunge poi una nuova consapevolezza: il Giappone in cui vive Ishiguro non è tuttavia il vero Giappone, paese in cui tornerà, come viaggiatore, solo molto tardi; è la terra della memoria, quasi un mondo favolistico molto diverso dal paese reale. Così la storia di Ishiguro diventa la storia di tanti scrittori del moderno mondo multiculturale: una nuova patria reale e da conoscere per sentire patria, una patria di origine più ricordata che vera, luogo della memoria e del sogno.
lunedì 10 settembre 2018
Il governo del cambiamento
- Il Presidente Conte ha mentito o almeno è stato impreciso sul suo curriculum;
- lo stesso Conte ha compiuto una serie di gaffe (sul fratello del Presidente della Repubblica, scambiando la commemorazione di giorno 8 Settembre con quella del 25 Aprile...);
- lo stesso Conte, da presidente, avrebbe partecipato ad un concorso per l'assegnazione di una cattedra universitaria se la cosa non fosse stata scoperta da dei giornalisti (e figuriamoci se il concorso non l'avrebbe vinto);
- sempre Conte ha dichiarato, come Di Maio, di voler togliere la consessione a Società Autostrade, non spiegando però quanto questo processo sia difficile e, soprattutto, costoso;
- A curare la comunicazione di Conte è stato assunto Rocco Casalino, già responsabile della comunicazione per il M5S, noto per il suo atteggiamento ostile e di parte nei confronti dei giornalisti non allineati;
- Di Maio ha più volte mostrato la propria impreparazione su argomenti base, quali la geografia (dove sta Matera?) e il diritto (l'impeachment millantato contro Mattarella nel nostro ordinamento neanche esiste);
- lo stesso Di Maio di fronte ad una richiesta mossa all'avvocatura dello stato per un nuovo parere sulla vendita dell'ILVA, pur di non ammettere la cantonata presa, ha secretato l'esito del parere e, una volta che questo è stato pubblicato, ha mentito su ciò che vi era scritto, sperando che nessuno leggesse quel parere (come del resto ha ammesso di aver fatto lui);
- riguardo alla lunga crisi politica precedente l'insediamento dell'attuale governo, lo stesso Di Maio ha mentito sulle pressioni e i nomi che sarebbero stati fatti al Presidente della Repubblica Mattarella, non sapendo che i colloqui tenuti al Quirinale sono registrati;
- il ministro Salvini ha più volte mentito sull'attuale andamento dei flussi migratori, definendoli un'emergenza, mentre in realtà sono in netto calo da mesi; lo stesso ministro ha più volte mentito all'opinione pubblica, adducendo una chiusura dei porti mai avvenuta, o di cui in realtà non si è mai assunto realmente la responsabilità non dandone mai ordine scritto, procedendo attraverso comunicazioni orali e omissioni di atti;
- lo stesso ministro ha tenuto in ostaggio 150 migranti, privandoli della possibilità del riconoscimento che sarebbe previsto dalla legge e il conseguente possibile accesso allo status di rifugiato;
- lo stesso ministro vanta come medaglie i capi d'accusa dei reati che avrebbe commesso; sempre lo stesso ministro, in qualità di segretario della Lega, deve rispondere della sparizione di 49 milioni di euro ottenuti illegalmente e di cui è stato ordinato il sequestro dalla magistratura;
- il ministro Toninelli si è reso più volte complice delle azioni del ministro Salvini, tanto da creare uno stato di forte imbarazzo nella stessa Guardia costiera che a lui fa riferimento;
- il ministro Toninelli ha poi mostrato grande impreparazione in merito allo status giuridico del suo ministero, proponendolo come parte civile negli eventuali ricorsi e processi contro Società Autostrade, sebbene lo stesso ministero che a lui fa capo sia sotto accusa per omissione nei controlli;
- per legittimare la propria posizione Toninelli ha fatto riferimento a presunte pressioni subite, pubblicando dei documenti che in realtà risalgono a sei mesi prima la sua nomina a ministro;
- il sottosegretario Giorgetti ha dichiarato l'inutilità del Parlamento e la necessità di superarlo, come del resto Casaleggio, ideologo del M5S;
- il sottosegretario Siri, ideatore della linea politicoeconomica della Lega, ha mentito sulla sua laurea in Economia, in realtà mai acquisita;
- il Sen. Pittoni, esperto di scuola della Lega, ha omesso per anni di dichiarare il suo titolo di studio; in realtà il senatore non ha mai conseguito il diploma.
- il ministro Grillo ha avallato le politiche insensate sull'obbligo vaccinale, arrivando a dire che bisogna rassegnarsi al fatto che debbano esserci delle morti dovute al morbillo.
Questi sono solo gli ultimi sei mesi di politica italiana, e indubbiamente ho dimenticato qualcosa.
martedì 21 agosto 2018
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, Christiane F.
Il libro Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, scritto dai giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck, ripercorre parte della storia da tossicodipendente di Christiane F.. La vicenda, toccante e potente, ripercorre la vita di Cristiane, poco più che bambina, il suo trasferimento in un sobborgo di Berlino, luogo in cui la sua famiglia si disgregherà coinvolgendola insieme alla sorella in un divorzio doloroso, mentre la noia di una esistenza senza prospettive la incanalerà rapidamente nel giro delle droghe leggere prima, dell'eroina poi. Divenuta eroinomane, Christiane inizierà a vivere un rapporto sempre più travagliato con la madre e a vivere nell'illusione di potersi disintossicare in qualsiasi momento insieme al suo amato Detlef. Il bisogno delle dosi quotidiane di eroina spingerà i due insieme ai loro amici alla prostituzione, ai furti e alla ricettazione, mentre madre e padre di Christiane tenteranno inutilmente e non senza errori di chiedere aiuto allo Stato e di muoversi autonomamente per poter disintossicare la figlia. Nella Germania della fine degli anni 70 vedremo così susseguirsi le morti di giovanissimi a causa dell'eroina, finché le vicende di Christiane la porteranno a essere portata via da Berlino e a finire nei sobborghi di Amburgo, dove lentamente cercherà di allontanarsi dal giro dell'eroina.
Il libro nasce da un'inchiesta giornalistica condotta dei due autori che li porta a intervistare e a riportare fedelmente le parole di Christiane, della madre, degli assistenti sociali che con lei hanno avuto a che fare. La stessa inchiesta in realtà un'origine giudiziaria, a causa dello scandalo suscitato in Germania dalla giovanissima età delle ragazze e dei ragazzi coinvolti in un giro di prostituzione e ricettazione venuto a galla dopo la denuncia subita da uno dei clienti di Christiane, un certo Heinz, nonché dopo la morte di una delle amiche della protagonista, Babette.
Come si può intuire quindi l'impatto emotivo del libro e del film che da esso è stato tratto è indubbiamente forte: ne scaturisce l'immagine di una generazione incolta, sconsolata, sperduta, senza prospettive e ideali, tanto da far rimpiangere alla protagonista Il nazionalsocialismo, che sebbene fosse una ideologia che lei stessa riconosceva sbagliata e orribile, almeno produceva degli ideali; ragazzi con esperienze e vissuti da adulti, ma che allo stesso tempo non hanno mai superato l'infanzia perché troppo presto coinvolti in cose troppo più grandi di loro, e che per questo presentano tutti i tratti psicologici del bambino involuto. Emerge anche come la società dell'epoca fosse impreparata, incapace e fondamentalmente disinteressata a osservare e cercare di capire quanto stava accadendo nelle sue strade più degradate.
Tuttavia, da un punto di vista letterario, va osservato come il libro risulti alla lunga pesante, se non addirittura noioso: in un certo senso, metabolizzati lo stupore e l'amarezza per il destino di questi ragazzi, verso la metà del libro subentra la noia per il continuo ritornare degli stessi temi, prostituzione, pere, bisogno di nuove dosi, speranza di una disintossicazione mai realmente cercato davvero. Ciò non toglie che per le tematiche trattate, per l'importanza storica e per le considerazioni che ne possono essere tratte, questo rimane uno dei libri più importanti prodotti in Europa negli ultimi 50 anni.
giovedì 16 agosto 2018
Prontuario di falsità retoriche sui migranti e come smontarle
1. "Chiudendo i porti gli si salva la vita, gli si evita la morte in mare o una vita passata a servire mafie varie o fare marchette per strada."
Falso, da quando l'Italia ha dichiarato di aver chiuso i porti (in realtà poi i porti non sono mai stati chiusi davvero perché questo costituirebbe un atto illegale assimilabile ai respingimenti forzosi), malgrado il calo nel numero degli sbarchi i morti nel Mediterraneo sono aumentati rispetto ai mesi precedenti. Se poi si vuole evitare che i migranti che si muovono clandestinamente finiscano in mano alle mafie, basta farli muovere legalmente attraverso la concessione di visti o attraverso corridoi umanitari.
2. "I migranti pendono decisioni spontaneamente e spontaneamente decidono di rischiare la vita in mare. Ci si assume la responsabilità delle proprie scelte individuali."
Affermazione incorretta, quantomeno nella misura in cui la decisione di attraversare il continente africano in maniera clandestina per partire sui barconi è l'unica possibile, dal momento che i paesi europei e in particolare in Italia hanno ridotto drasticamente il numero di visti e permessi di soggiorno scopo lavorativo nei confronti dei migranti provenienti dall'Africa, giudicati per diverse ragioni, alcune plausibili altre molto meno, meno accettabili rispetto ai migranti provenienti da altre aree del pianeta. Diceva Cesare Beccaria, uno dei padri del Diritto Italiano moderno, che uno Stato non dovrebbe mai sanzionare una persona per un reato che ha commesso quando lo stesso Stato ha messo quella persona nelle condizioni di dover commettere quel reato per sopravvivere.
3. "Gli italiani non sbarcavano in America su fatiscenti gommoni guidati da galeotti libici, portando scabbia e altre malattie, aspirando poi a essere mantenuti dalle cooperative."
Falso, ed evidentemente non si è neanche mai letto Sciascia che in un suo bellissimo racconto mette in prosa la truffa organizzata nei confronti di alcuni migranti siciliani convinti di partire verso migliori lidi e sbarcati dopo notti di viaggio a qualche km di distanza dal porto di partenza. Comunque sia, sia agli inizi del '900 che dopo la Seconda Guerra Mondiale numerosi italiani sono partiti sia clandestinamente che legalmente verso altri paesi, finendo spesso in mano alle organizzazioni mafiose locali e adattandosi a svolgere ogni tipo di mansione, legale e non. L'integrazione di queste prime ondate è stata sempre molto difficile, come ricorda lo stesso Pascoli, e si è potuto realmente parlare di integrazione degli immigrati italiani all'estero soltanto a partire delle seconde generazioni. Riguardo poi alle malattie portate dalle ondate migratorie di italiani, è difficile parlarne semplicemente per la scarsità di mezzi e di registrazioni al riguardo nei passati decenni, un caso emblematico comunque è quello della ricomparsa del morbillo in Messico dopo l'arrivo di alcuni immigrati italiani.
4. "Nei paesi di origine avranno pure stipendi più bassi ma il costo della vita è più basso".
Affermazione quantomeno poco precisa, perché riguarda lo stato di un intero continente e anche condizioni geopolitiche difficilmente comprensibili. Ad esempio in alcune aree del continente africano sono in corso guerre civili non riconosciute dal consesso internazionale, Italia compresa: si pensi ad esempio al Congo, alcune aree della Nigeria, il Sud Sudan, fino a pochi mesi fa l'area di confine tra Etiopia ed Eritrea, ma, per essere chiari, è quello che sta ancora accadendo in Yemen e che per 5 anni è accaduto in Siria prima che Europa e Stati Uniti riconoscessero la condizione di guerra civile. In questi paesi l'approvvigionamento alle risorse minime per la sopravvivenza è ovviamente costosissimo, tanto da poter parlare di un costo della vita teorico comparabile a quello degli stati europei se non addirittura superiore, a fronte di compensi medi annui che equivalgono al compenso medio mensile di un cittadino europeo.
5. "Ai problemi dell'Africa ci pensino nazioni ricche e prosperose come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania che hanno un passato colonialista da farsi perdonare".
Prima cosa, le nazioni sono prospere, le donne sono prosperose. Seconda cosa, se dobbiamo parlare di passato colonialista da farsi perdonare, anche l'Italia ha i suoi scheletri nell'armadio, Libia, Etiopia, Albania, oltre agli orrori impuniti nei Balcani e in Grecia. per inciso, la durata del passato colonialista italiano equivale alla durata del passato colonialista tedesco. Tuttavia il problema non è quello di sentirsi in colpa per un passato colonialista, quanto invece il problema della redistribuzione del reddito tra i paesi occidentali, che costituiscono una parte minoritaria della popolazione mondiale ma che si distribuiscono risorse e reddito mondiale per una cifra che si aggira tra il 70 e l' 80% disponibile. Se non si ha chiaro questo non si capisce perché una parte della popolazione povera del globo cerchi in ogni modo di spostarsi verso l'area ricca del pianeta, di cui anche l'Italia fa parte. Va detto tra l'altro, come dimostrato da diversi studi, che in questo senso qualche passo avanti è stato compiuto attraverso la globalizzazione, ed è emblematico come i movimenti che si oppongono ai movimenti migratori siano anche fieramente antiglobalizzazione.
6. "Se odiate così tanto l'Italia, perché non rinunciate alla cittadinanza italiana ed emigrate pure voi?"
Fallacia logica, ancora più grave se usata consapevolmente. In particolare si tratta della fallacia chiamata Nessun vero scozzese: fare un appello alla purezza quando la propria tesi è stata demolita, con l’obiettivo di creare nuovi criteri ( elenco delle fallacie logiche più frequenti ).
Infatti non esiste nesso reale tra il contestare un aspetto delle politiche sociali di un paese e odiare quel paese, sicché utilizzare questa argomentazione serve solo a evitare di rispondere con argomentazioni puntuali sulle questioni sollevate.
7. "Certo, quindi i migranti sono le povere vittime del sistema, scappano da guerre, vorrebbero fare chissà cosa ma purtroppo niente, quindi sono costretti a essere mantenuti. Gli italiani sono brutti, sporchi e cattivi, sono stati colonialisti, sono ricchi e girano su porsche carrera ma non vogliono aiutare nessuno. E la scabbia e la tubercolosi l'hanno portata gli italiani.'"
Altra fallacia logica, anche questa particolarmente grave se utilizzata volontariamente. In questo caso si tratta dello straw man argument o altrimenti argomento fantoccio, in pratica "Rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario, esagerandola o riportandola in modo caricaturale, anche mettendogli in bocca parole che non ha detto, con lo scopo di confutare più facilmente la sua tesi". Nessuna persona di buon senso a favore di politiche migratorie più libere sosterrebbe mai una serie così evidente di stupidaggini, ma nel dibattito comune mettere in bocca a chi è a favore delle politiche migratorie queste argomentazioni impedisce un razionale svolgimento del dibattito.
8. "l'arrivo degli immigrati causa dumping sociale e abbassamento dei salari o la perdita di diritti per i lavoratori regolari".
Affermazione imprecisa, non è di per sé la presenza di migranti a causare dumping sociale, semmai è l'arrivo in maniera volutamente illegale a comportare tutti gli svantaggi elencati per chi lavora regolarmente, infatti è indubbio che la presenza di lavoratori facilmente ricattabili e quindi facilmente sottoponibili a contratti di lavoro svantaggiosi comporti anche per gli altri lavoratori la vituperata necessità di accettare condizioni sfavorevoli: è quanto da decenni avviene già nel meridione dell'Italia dove per cultura, tradizione e necessità numerosi cittadini accettano lavoro in nero, costringendo anche gli altri ad adattarsi a condizioni lavorative peggiori. Ma questa condizione è innanzitutto una scelta politica di chi decide di far arrivare dei migranti che comunque arriveranno non attraverso vie legali ma in condizioni di clandestinità, impedendone quindi l'accesso regolamentato nel mercato del lavoro e mettendoli in mano a datori di lavoro senza scrupoli o ad organizzazioni mafiose.
9. "Vengono qui per farsi mantenere dalle cooperative a spese nostre".
Falso, che esista un business dell'accoglienza è indubbio, che questo dipenda da migranti e però una falsità. il problema nasce a partire dalla lentezza di decisione da parte delle questure, che dovrebbero sbrigare le pratiche in un mese ma che in media impiegano dai 3 mesi a un anno di tempo. Per tutto il tempo in cui il migrante non ha documenti è costretto a rimanere in condizioni di semi libertà all'interno delle strutture di accoglienza ma non è possibile per lui ottenere contratti di lavoro, essendo privo di documenti. Uno dei tanti casi che confermano questa situazione è avvenuto proprio recentemente ed è stato oggetto di squallida propaganda politica, allorchè lo stesso Ministro degli Interni Salvini ha diffuso una notizia falsa: si sosteneva nell'articolo diffuso da Salvini che dei migranti coinvolti in una protesta richiedessero l'accesso a servizi di certo non prioritari come la piattaforma tv Sky; tuttavia la stessa questura di Vicenza ha poi corretto la notizia informando che i migranti protestavano perché richiedevano una rapida soluzione relativamente ai propri documenti per potere ottenere contratti di lavoro.
10. "Occorre aiutarli a casa loro ma in realtà non lo volete fare".
Falso nella seconda parte dell'affermazione: con tutti i loro limiti i governi di sinistra europei negli ultimi anni hanno pure tentato di fare qualcosa, ma quando questo è successo le destre europee sono insorte spingendo le popolazioni a proteste di ogni sorta. Non si parla più da decenni della cancellazione dei debiti dei paesi più poveri, si preferisce piuttosto parlare genericamente di aiuti ai paesi extraeuropei riducendo in realtà i fondi per la cooperazione internazionale. Bisogna poi capire di che cosa si sta parlando: se per aiutarli a casa loro si intende elargire come una tantum dei fondi straordinari, questi sono inutili o quasi. Se elargiamo 5 miliardi di euro per un continente di un miliardo di persone, vuol dire che realmente ad ogni africano stiamo fornendo un aiuto di meno di €10. Praticamente nulla. Se molto più realisticamente con la frase aiutarli a casa loro si intende favorire lo sviluppo economico dei i paesi di emigrazione, bisogna avere anche chiaro che questo può comportare dei rischi nel breve, nel medio e nel lungo termine per gli stessi paesi europei perché, se questo sviluppo economico dovesse avere successo, in un sistema di libero mercato potremmo anche creare dei concorrenti economici. È quanto accaduto per esempio quando l'Unione Europea ha deciso di aiutare temporaneamente la Tunisia per ridurre la partenza di migranti da quel paese abbassando i dazi doganali sui prodotti agricoli, in particolare sull'olio. Questo atto concreto che aveva come scopo il favorire lo sviluppo economico di quel paese e quindi aiutare a eradicare il fenomeno della emigrazione, ha portato però al sollevarsi di proteste, anche violente, nei paesi del Mediterraneo settentrionale perché ovviamente l'olio prodotto dalla Tunisia, se sgravato dai dazi doganali, diventa concorrenziale nei confronti dell' olio prodotto in Spagna, Italia, Francia e Grecia, con i conseguenti rischi per le produzioni europee. Un'altra cosa che i paesi europei potrebbero fare per aiutare lo sviluppo economico nei paesi di emigrazione è la concessione delle proprietà intellettuali: in pratica si tratterebbe di fare quello che già la Cina ha imposto a chiunque apra una fabbrica in quel paese, ovvero si concede di produrre a costi più bassi in Cina, ma in cambio si pretende che il know-how con cui vengono prodotti i beni nelle fabbriche cinesi debba essere messo a disposizione anche della popolazione cinese e non rimanga una proprietà intellettuale inalienabile di chi delocalizza, imponendo in questo modo un colonialismo non più politico ma economico. Siamo disposti ad accettare simili condizioni per ridurre l'immigrazione e favorire lo sviluppo economico dei paesi di emigrazione?
martedì 14 agosto 2018
Sulla democrazia, la correttezza delle opinioni e il numero
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| Di sconosciuto - http://www.humanities.mcmaster.ca/~bertrand/later.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24694974 |
Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Infatti, a causa della stupidità della maggioranza degli uomini, è molto più probabile che un giudizio diffuso sia sciocco piuttosto che ragionevole.Dato che questa asserzione, oggi più che mai, potrebbe essere tacciata di elitarismo o di essere frutto di una mentalità "radical-chic", occorre spiegarla, anche perché in qualche modo mina uno dei presupposti della democrazia come largamente intesa, ovvero la sovranità popolare.
La questione che Russell solleva è di natura prettamente logica. Il problema è che la somma di più teste, per dirla facile, non dà una testa più grande e meglio formata. In sostanza, quando noi ragioniamo, siamo da soli con il nostro cervello, non ragioniamo sommando i nostri pensieri e le nostre conoscenze telepaticamente a quelli degli altri, quindi, il fatto che gli ignoranti su una determinata questione siano uno o cento, a confronto con una persona competente, è ininfluente: se chiedo a cento persone incolte sulle leggi della fisica di risolvere un problema relativo alla relatività di Einstein, e chiedo la stessa cosa ad un fisico, in termini probabilistici è molto più credibile che sia il fisico a risolvere la questione, per il semplice fatto che sia rispetto ai cento presi singolarmente, sia presi nella loro totalità, lui di fisica ne sa di più. Ugualmente, se chiedo a cento persone che non hanno mai avuto a che fare con la logica di risolvere uno dei paradossi, come quello del barbiere formulato proprio da Russell, e chiedo la stessa cosa ad uno studioso della materia, statisticamente è più plausibile che sia il secondo a giungere ad una soluzione anziché i primi, proprio perché cento ignoranze non fanno una conoscenza. E dato che sui vari rami del sapere è statisticamente più probabile che solo una ristretta minoranza sia di volta in volta competente, mentre la maggioranza delle persone sarà, letteralmente, incompetente, ne emerge come il fatto che un'opinione sia largamente diffusa non solo non è prova che quell'opinione sia corretta, ma sia anzi correlato (ma non in termini causali) con la probabilità che sia scorretta.
Se si è letto attentamente il post, tuttavia, si sarà notato che il fatto che la persona competente abbia ragione rispetto agli incompetenti non viene mai dato per certa in assoluto Perché? Perché come insegnato dalla filosofia della complessità, i fenomeni non seguono praticamente mai una linearità deterministica, ma tendono al caos e più i sistemi e le questioni da risolvere sono grandi, più tendono ad un andamento non lineare. Può quindi accadere che per vie del tutto casuali e non determinabili l'opinione dell'incompetente risulti alla fine più fondata di quella del competente, ma più il competente è in grado di padroneggiare la complessità dell'argomento che si appresta ad affrontare, più è probabile che la sua ipotesi, anche se minoritaria rispetto a quella della folla, sia quella corretta.
Le implicazioni politiche di questa affermazione sono immediatamente evidenti (lo erano persino per Socrate, quando ironizzava sul numero di persone che l'avevano condannato a morte). Se un'opinione largamente diffusa è probabilmente scorretta, come può tenersi in piedi la democrazia?
Probabilmente di nuovo qui bisogna sfatare un mito: il fatto che il popolo sia sovrano non implica che il popolo abbia ragione, e tuttavia, è semplicemente più conveniente che, attraverso la distribuzione della responsabilità delle scelte e quindi un maggiore coinvolgimento nelle attività pubbliche, si eserciti una maggiore funzione di controllo e che, sempre in termini statistici, coinvolgendo più persone e provenienti da diversi contesti sociali, economici, religiosi e culturali, si riesca a mettere la persona giusta nel posto giusto.
Quindi, ricapitolando, la questione non è che il popolo sovrano ha ipso facto ragione, anzi, probabilmente ha spesso torto, ma il coinvolgimento dell'intera popolazione nella vita pubblica garantisce una funzione di controllo sulle attività dei governanti e garantisce la partecipazione alla vita dello Stato anche ad elementi che, in una società fortemente oligarchica ed elitaria, verrebbero tenuti fuori dall'istruzione, dalle posizioni di ricerca, di controllo e di governo.
lunedì 13 agosto 2018
Marco Travaglio, il nemico e la fuffa
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| Di Niccolò Caranti - Own work (also on Flickr), CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10211899 |
Il problema è che negli ultimi mesi Travaglio e i suoi, per battere un colpo, hanno deciso di sparare sul nemico che tutti gli Italiani aspettavano, le ONG: distanti, tutto sommato sconosciute organizzazioni che portano gli odiati migranti sulla penisola. Arrivati a questo punto, scoperto che il nemico prescelto funziona, non si può mollare la presa, almeno fino a quando gli introiti de Il fatto continueranno a crescere, malgrado le cialtronate scritte sull'argomento.
Del resto la carriera giornalistica di Travaglio si fonda da sempre sull'individuazione di uno o più nemici (il concetto di avversario gli è estraneo) da massacrare con inchieste giornalistiche che, all'atto pratico, si sono nel 90% dei casi risolte in flop giuridici. Pensiamo a tutte le inchieste su Berlusconi, al fango buttato su Renzi, su Boschi, Madia, fino ora ad arrivare alle ONG. Il problema è che fino a quando Travaglio colpisce chi ci sta antipatico, non ci accorgiamo del suo metodo e del suo modo di fare. Ovviamente Travaglio ha sempre sorvolato sugli esiti delle sue inchieste, perché, anche lì dove le presunte prove si risolvessero in falsi, per Travaglio e i suoi estimatori tra indizio e giudizio di ultimo grado non c'è differenza.
giovedì 26 luglio 2018
La differenza tra legalità e giustizia
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| Foto: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17254 |
Ci mancava il buonismo della Corte Europea per i Diritti dei Rom😮https://t.co/vsm5eghGIB— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 24 luglio 2018
🔴 È in corso lo sgombero del campo Rom Camping River di Roma. Legalità, ordine e rispetto prima di tutto!https://t.co/0lrPhjHTlO pic.twitter.com/9GII9EWwz5— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 26 luglio 2018
Questi i fatti: il ministro degli interni Matteo Salvini ordina, in accordo con la sindaca di Roma Raggi, lo sgombero di un campo nomadi. È da notare che nessun piano è stato studiato per il post sgombero, in pratica si compie un atto di forza, adducendo come motivazioni l'ordine pubblico e il rispetto della legalità, ma le persone che saranno sgomberate saranno di fatto sfollate, per cui, a meno che non si pensi ad una qualche "soluzione finale", finiranno comunque per allestire un altro campo nomadi, magari solo a qualche centinaio di metri da quello sgomberato. Alcuni fra gli sgomberati avevano tuttavia fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che aveva dato ragione ai ricorrenti e imposto la sospensione dell'attuazione del provvedimento fino alla giornata di venerdì, in attesa di una decisione definitiva. Ugualmente il ministro nella giornata di oggi ha deciso di imporre lo sgombero, definendo i Rom presenti nei campi come dei parassiti.La Corte europea dei diritti dell'uomo aveva sospeso lo sgombero del Camping River di Roma fino a venerdì, ma il ministro @matteosalvinimi ha deciso che per lui le disposizioni delle Corti non valgono. Evidentemente le leggi hanno urgenza e immediatezza soltanto per i suoi nemici— Sebastiano Cuffari (@sebascuffari) 26 luglio 2018
Di fatti gravissimi ce ne sono tanti: la definizione degli abitanti dei campi nomadi come parassiti; la violazione di un'ordinanza della più alta corte europea, quella che era nata per difendere i diritti di ogni persona, in quanto tale, contro ogni violazione dei diritti umani, a seguito degli orrori della Seconda guerra mondiale; i commenti entusiastici e razzisti in rete; la violenza verbale nei confronti di chi si oppone al provvedimento.
La questione, se vogliamo, è anche più alta, più profonda, e se possibile più paurosa. Sempre di più stiamo slittando dal concetto di giustizia a quello di legalità, che va di pari passo con quello di ordine. Sia chiaro, normalmente questi tre concetti dovrebbero andare di pari passo. Quando però alcuni prevalgono sugli altri, allora siamo in presenza di una deriva autoritaria. Nell'Apologia di Socrate Platone ricorda un episodio della vita del suo maestro: i Trenta tiranni, oligarchi, alcuni dei quali anch'essi discepoli di Socrate, ma espressione della volontà politica di Sparta, città vincitrice nello scontro contro Atrene, chiamarono l'anziano filosofo al loro cospetto. Egli aveva già espresso critiche nei loro confronti, così essi, per domarlo o eliminarlo, gli imposero con un atto di legge di andare ad arrestare un oppositore politico per essere condannato a morte. Socrate, udito l'ordine, si allontanò dai Trenta e si ritirò a casa sua, senza eseguire quanto impostogli dalla legge. Socrate aveva deciso di seguire la giustizia anziché la pura legalità. Ne sarebbe seguita la sua condanna a morte, se i Trenta tiranni non fossero stati deposti di lì a breve, e nondimeno la voce di Socrate rimase critica anche nei confronti dei restauratori della democrazia, tanto da essere condannato a morte proprio dal regime che con il suo esempio aveva difeso, ed essere condannato a morte, ancora, per la sua scelta di seguire giustizia anziché legalità.
Su cosa si fonda la scelta di Socrate?
Può l'atto di legge di colui che sta sovvertendo i fondamenti della democrazia essere considerato valido, quando esso stesso viola i fondamenti del potere da cui trae origine? L'atto dei Trenta tiranni è ingiusto perché, se la legge fonda il suo potere sulll'essere espressione non della volontà popolare, ma della volontà popolare normata dal diritto nel superiore interesse della Persona (concetto che invero nella filosofia greca non esiste se non in nuce) in quanto tale e come fondamento dello Stato, ecco, in questo senso l'atto di legge può anche essere legale, tuttavia è ingiusto. Al contrario, il non rispettare la legge da parte di Socrate, ponendo al centro il valore della Persona come base stessa dello Stato, è atto illegale e tuttavia più giusto della legalità.
Certo, Socrate è esempio lontano, lontanissimo. Ma di giusti ne abbiamo conosciuti altri nel corso dei secoli. Si pensi ai giusti tra le nazioni, coloro che hanno disobbedito alle leggi razziali difendendo gli ebrei e non solo dalla deportazione e dallo sterminio nazifascista.
Cosa accomuna i giusti dei vari secoli e Socrate? La decisione di agire a proprio rischio e pericolo. Perché è molto più semplice sbandierare la legalità che agire secondo giustizia. La giustizia richiede sforzo, richiede capacità di mediazione, la comprensione del fatto che eguaglianza non vuol dire equità, che ripartire in parti uguali tra diseguali è atto di ingiustizia; molto più semplicemente, la legalità richiede la forza per essere attuata, e la forza, primigenea manifestazione di una virilità più millantata che reale, è da sempre attrattiva per chi non vuole andare oltre una rapida occhiata, come due grossi seni sono a prima vista più interessanti di una mente ben fatta.
Tuttavia, quando l'applicazione della forza nell'imposizione della legalità segue criteri di giustizia, allora si crea uno Stato ben ordinato e democratico; ma se l'applicazione della forza nell'imposizione della legalità è il fine, non il mezzo, allora non si crea uno Stato ordinato e democratico, ma ci si avvicina a passi veloci verso una dittatura, che la si chiami o no con questo nome poco cambia.
sabato 21 luglio 2018
Quasi tre anni fa parlavate di deportazione
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| Immagine: Lettera43.it |
Quasi tre anni fa, era la fine dell'agosto 2015, infuriava la polemica sulla riforma della scuola. In particolare una parola andava di moda: deportazione. Era il termine con cui tanti insegnanti, assunti a tempo indeterminato, appellavano il loro infausto destino, l'obbligo di trasferirsi da un capo all'altro della penisola per ottenere la cattedra sperata dopo anni di sacrifici. Quel termine, il cui uso era incoraggiato da tanti sindacalisti che oggi si sono convertiti al nazionalpopulismo gialloverde, e dagli stessi partiti oggi al governo, venne ampiamente criticato da politici della maggioranza, nonché da figure di spicco della comunicazione e dei media, come per esempio il direttore del TG de La7, Enrico Mentana. All'epoca io e Giulio Iraci scrivemmo questo articolo per l'associazione di cui facevamo parte, Gessetti Rotti:
Gentile direttore Enrico Mentana,
in una celebre scena di “Palombella rossa”, Mariella Valentini, nel ruolo di una giornalista, intervista Michele Apicella, alias Nanni Moretti. Quel dialogo è scolpito nella mente di tutti:
- Io non lo so, però senz'altro lei ha un matrimonio alle spalle a pezzi.
- Che dice?
- Forse ho toccato un argomento che non...
- No...no...è l'espressione. Non è l'argomento, non è l'argomento, non è l'argomento...è l'espressione. Matrimonio a pezzi. Ma come parla...
- Preferisce rapporto in crisi ? Ma è così kitch...
- Kitch! Dove le andate a prendere queste espressioni, dove le andate a prendere...
- Io non sono alle prime armi!
- Alle prime armi...ma come parla?
- Anche se il mio ambiente è molto cheap…
- Il suo ambiente è molto...?
- È molto cheap,
- (schiaffeggiandola) Ma come parla?
- Senta, ma lei è fuori di testa!
- E due. Come parla! Come parla! Le parole sono importanti. Come parla!
Le parole, è vero, sono importanti. Proprio per questo, prendiamo le distanze dall’uso del termine “deportazione”, che tante volte, in questi giorni, è stato associato alla mobilità forzata dei precari della scuola coinvolti nel piano straordinario di assunzioni. Una transumanza voluta dall’attuale governo, presieduto da Matteo Renzi, e realizzata attraverso la legge 107/2015, la cosiddetta “Buona scuola”.
Il termine “deportazione”, come Lei ricorda, rimanda a ben altre migrazioni forzate, incommensurabilmente più tragiche, che rimarranno per sempre nella memoria collettiva.
Vogliamo dunque manifestarLe la nostra solidarietà per le accuse e gli insulti che Le sono stati rivolti per aver esternato, non senza coraggio, il Suo disappunto sull’uso improprio di quella parola.
Ci preme ricordarLe, tuttavia, che le parole sono importanti sempre, e che l’invito a una maggiore precisione non può giungere solo da una parte, o a seconda delle circostanze.
Il termine “deportazione”, a cui Lei ha fatto giustamente riferimento, è molto in voga tra voi giornalisti, ed è spesso usato fuori luogo, senza neppure la pseudo-giustificazione di un dramma esistenziale o familiare.
Il pressappochismo è ciò contro cui gli insegnanti lottano ogni giorno in classe e - non ce lo nascondiamo - l’esempio peggiore viene spesso da chi fa il Suo mestiere.
Sarebbe inutile, e penoso, stare qui a ricordarLe quante volte, anche durante le edizioni del telegiornale che Lei dirige, ci si trova a dover ascoltare espressioni ormai vuote, frasi fatte, notizie poco approfondite, se non addirittura mistificate. Eppure, quante volte ancora dovremo sentir parlare di “emergenza sbarchi”, di “esodi estivi”, di teorie pseudoscientifiche e ricostruzioni storiche in stile colossal di serie B?
Se le nuove generazioni non credono (ancora) a tutte le stupidaggini che girano in rete, è forse anche merito di chi fa il nostro mestiere, e insegna a spulciare fra le fonti.
Non è nostra intenzione incolpare l’intero giornalismo italiano; così come, vogliamo sperare, il Suo post non intendeva additare l’intera categoria degli insegnanti.
I giornalisti a cui ci riferiamo - e sono tanti - sono quelli, ad esempio, che hanno fatto cattiva informazione sulla scuola.
Parlare della riforma scolastica (come ha fatto la redazione scuola di Metro) avrebbe voluto dire, innanzitutto, approfondire l’argomento, e non semplicemente inseguire la notizia. Avrebbe voluto dire spiegare cosa è stato il precariato della scuola statale italiana: una piaga che, in alcuni casi, esiste da oltre vent’anni. Avrebbe voluto dire specificare che i docenti non vanno in ferie per tre mesi, e che lavorano, come dimostrano studi accreditati, almeno 36 ore settimanali, in linea con la media dei paesi europei ma con una tra le retribuzioni più basse. Questo sarebbe stato approfondire.
Un approfondimento serio avrebbe comportato la condanna delle parole di una Ministra che definisce i suoi dipendenti squadristi, abulici, sindacalizzati (come se questo fosse un insulto); avrebbe significato spiegare che i docenti ‘vogliono’ essere valutati, ma prima gradirebbero sapere come, da chi e con quali strumenti. Approfondire sarebbe stato spiegare che i test INVALSI, da voi giornalisti acriticamente difesi, sono invece, nel resto mondo, sempre più contestati o, quanto meno, ridimensionati nel loro valore; sarebbe stato rimarcare come molti dati sulla scuola statale e non statale, considerati scontati, scontati non sono: come, ad esempio, quelli sulla maggiore qualità dell’istruzione privata (anche in Europa), o sulla differenza tra scuole del Nord e del Sud.
Ma soprattutto, un vero approfondimento avrebbe spiegato perché la mobilità realizzata da questa riforma, oltre che inutile e caotica, sarà anche dannosa e, in molti casi, crudele.
Insomma, gentile Direttore, comprendiamo davvero il Suo rammarico per l’uso del termine “deportazione”. Nondimeno, ci auguriamo che la Sua richiesta di onestà intellettuale non si esaurisca in quella coraggiosa ramanzina, ma La spinga, con la dedizione che persino la parodia di Maurizio Crozza Le riconosce, ad esplorare quegli argomenti che il Suo telegiornale, fino ad ora, ha trattato in maniera tristemente sommaria.
Se servisse, Le offriamo la nostra collaborarazione.
In attesa di un Suo cortese riscontro, Le porgiamo distinti saluti.
(Fonte dell'articolo: Gessetti Rotti)
Oggi quell'articolo e quella polemica mi tornano in mente. Sono passati tre anni, di migrazioni forzate ne giungono ben altre, siamo in epoca di respingimenti illegali, di ricollocamenti (aka, deportazioni reali) richiesti e rifiutati, di lager libici e di spari sui "diversi", siamo in un'epoca in cui il diritto di critica viene stroncato con il furbo motto del "lasciateli lavorare".
Oggi dove sono quegli insegnanti che gridavano alla deportazione? Dove sono quelle piazze che hanno gridato allo scempio delle vite, alle famiglie distrutte, ai sacrifici e ai sentimenti villipesi?
È una domanda retorica: quegli insegnanti stanno aspettando di raccogliere l'obolo sperato per il consenso al nazionalpopulismo, e di fronte al vero dramma della migrazione stanno muti e si voltano dall'altra parte.
In primis quei sindacalisti che all'epoca hanno fomentato la piazza e che, oggi, forti delle loro posizioni nei sindacati di base, ringraziano il ministero del tutto per le sue politiche contro i migranti, quelli veri.
Ecco, di tutto cuore, mi fate schifo.
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