Di fronte alle proteste e alle barricate anti migranti di questi giorni, da Goro a Castel D'Azzano, è sorto un, a dire il vero limitato, moto d'opinione che ha espresso il suo disagio davanti ad esempi così evidenti di razzismo, non ultima la manifestazione di Lega e Casa Pound a Milano.
A difesa delle proteste però si sono erti alcuni degli ideologi del neorazzismo, i quali non hanno avuto problemi a snocciolare le ragioni economiche dei barricaderi, i quali avrebbero visto stravolto, a Goro, il loro sistema economico con la perquisizione di un edificio pubblico adibito, tra l'altro, a bar, o avrebbero rischiato, a Castel D'Azzano la requisizione, in realtà mai contemplata, delle seconde case.
Fossero anche vere queste ragioni, ci sarebbe comunque da porsi un problema: le ragioni economiche dei benestanti possono stare davanti al diritto inalienabile alla vita di chi fugge da ciò che non può controllare?
Per rispondere a questa domanda, cambiamo un attimo prospettiva: quale sarebbe stata la reazione dell'opinione pubblica se al posto di 12 donne africane fuggite da guerre che non vogliamo conoscere e riconoscere, ci fossero state 12 donne umbre, laziali o marchigiane sfollate dal terremoto? Avrebbe qualcuno avuto il coraggio di addurre l'importanza di un bar per il sistema economico di una comunità come scusa per evitare l'accoglienza? Avrebbe qualcuno avuto il coraggio di non ospitare nelle proprie seconde case degli sfollati, dicendo che in questa maniera quelle case non erano più disponibili ad essere affittate ed essere quindi fonte di reddito?
Le risposte, ne sono certo, sarebbero scontate. C'è in tutta questa discussione un non detto di cui non vogliamo parlare perché comporterebbe una ammissione dolorosa: ciò che è avvenuto, avviene e continuerà ad avvenire è puro razzismo, l'idea che noi qui non li vogliamo perché noi siamo migliori, chissà come e perché, l'idea che dovremmo aiutarli in casa loro, che tanto poi, quando lo si deve fare davvero, con leggi, investimenti o interventi militari, si vota contro.
Si chiama razzismo, ma voi continuate pure a chiamarlo come volete.
venerdì 28 ottobre 2016
Goro, Castel D'Azzano e la teoria della giustificazione economica
mercoledì 26 ottobre 2016
Semplificazione e analfabetismo sono la vera distopia
Foto: Il signore delle mosche
Ma si ritiene davvero possibile trattare un tema complesso come quello del funzionamento della democrazia, con strumenti grezzi come la falce o l'accetta? Si ritiene davvero che il problema dell'economia come della politica italiana sia il compenso dei parlamentari, e che l'unica soluzione possibile sia ridurre tale compenso dimezzandolo?
Come se il problema fossero le due lire che si risparmierebbero, quando poi, il grosso dei compensi dei parlamentari è dato dai giustissimi rimborsi per le spese di rappresentanza e di trasporto.
Il punto è che se un lavoro, soprattutto un lavoro o un impegno fondamentale, come quello che la politica richiede, è fatto bene, lo si deve retribuire, e retribuire nel miglior modo possibile. Altrimenti il rischio, come ben sapevano già gli antichi, è che chi meglio potrebbe fare, anche in altri settori, scelga di dedicarsi ad altro, non certo ad un impegno massacrante, per lo più odiato dall'opinione pubblica, e per di più malamente remunerato.
Una soluzione sarebbe retribuire in base al reale valore dell'azione politica, ma ciò implicherebbe abbandonare un paradigma semplicistico, andare nel merito delle questioni affrontate, delle leggi proposte, della fattibilità, dell'economicità, della valenza, della validità dell'azione parlamentare. Occorrerebbe per esempio sanzionare ogni uscita pubblica, ogni intervento, ogni proposta di legge o di emendamento che violino, per malizia o ignoranza, leggi e regolamenti o che denotino chiara ignoranza, in primis della carta costituzionale. Tutto ciò però richiederebbe l'avvalersi di persone esperte, competenti e, soprattutto, il rischio di dover riconoscere al nemico politico (guai a parlare di avversari o, sacrilegio, di interlocutori) competenza e buona fede.
Ne emergerebbe per esempio la pratica di presentare norme di legge senza un relatore, cosa che implica ipso facto il ritorno della proposta in commissione e un uso propagandistico del voto parlamentare (è quanto successo ieri sulla proposta del M5S per il dimezzamento degli stipendi) o risulterebbe come il parlamento italiano sia uno dei più produttivi in Europa e come il fantomatico flipper tra Camera e Senato sia più un mito che una realtà (con buona pace di Renzi e del suo governo).
Comunque ne verrebbe fuori un quadro agghiacciante: la semplificazione, di qualsiasi colore sia, non può esistere se non di fronte ad un elettorato che richiede, desidera e capisce solo il semplice. Ecco perché democrazia diretta e analfabetismo di ritorno sono oggi il peggiore dei pericoli, una combinazione letale che può avere come unico esito il totalitarismo.
L'analfabeta almeno aveva un pregio: riconoscendo la sua incompetenza, delegava, a volte anche in maniera eccessiva, alla rappresentanza politica; oggi, l'analfabeta funzionale, pur non essendo in grado di giudicare un testo complesso, non se ne cura o non lo sa, non accetta la rappresentanza, pretende una partecipazione che è in realtà impossibile, essendo lui inconsapevole di quanto ogni sua scelta sia abilmente manipolata dai comunicatori in grado di veicolare in maniera implicita messaggi persuasivi attraverso la distorsione della realtà o la sua omissione.
Il libero che non riconosce di essere schiavo è il proprio peggior nemico.
martedì 11 ottobre 2016
domenica 9 ottobre 2016
martedì 4 ottobre 2016
domenica 2 ottobre 2016
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